sabato 14 agosto 2010

Tempo di Bilanci


Un bilancio sull’Unità d’Italia non è possibile trarlo se non dopo aver messo a punto una sera analisi di quegli anni, partendo dalla condizione preunitaria fino ad arrivare ai giorni nostri. Per rimanere obiettivi e non inciampare nei soliti settarismi,  non si possono prendere per buone solo alcune tesi per scartarne altre... E' noto che Il regno  delle Due Sicilie non era affatto quello che avevano dipinto gli storici risorgimentali. Non riconoscerlo significherebbe commettere un grosso errore di valutazione per cui saremo ben lieti di ospitare anche quelle critchi che normalmente vengono archiviate come revisioniste. L'italia in fieri si trovò, all'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, catapultata nella sfera unitaria, trovando innanzi a se, due grossi macigni. Due complessi problemi che richiedevano la massima cura e ben altra esperienza  Alle soglie dell’Unità, dunque, la classe dirigente formatasi nel Risorgimento, più avvezza alle armi che all'amministrazione della cosa pubblica,  si trovò completamente impreparata innanzi a due problemi di grandissima importanza: la “questione romana” e, appunto, la “questione meridionale”. Due questioni che ponevano i giovani politici del tempo al cimento di intricate elaborazioni sociali. Di un tratto questi uomini politici che avevano una sommaria preparazione nel campo, e che si erano sentiti a loro agio sulle barricate e sui campi di battaglia, si trovarono di fronte ad altri e più difficili problemi di organizzazione e strutturazione del nuovo stato appena nato. La “questione romana” si presentava ambigua, sottile, opponendo l’angosciosa disquisizione del curiale e del prelato, mere figure di cappa, alla baldanza del bersagliere che nella sua figura di spada riassumeva la nazione giovane e nata sul campo di battaglia.

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