giovedì 20 marzo 2014

Considerazioni sui fatti di Pontelandolfo e Casalduni

Pontelandolfo - veduta panoramica 
I fatti di Pontelandolfo e Casalduni avvenuti nell’agosto del 1861 sono fra i più noti della lotta al brigantaggio e sono stati sovente sfruttati da certi propagandisti e pubblicisti con intenti politici di critica all’Unità d’Italia. 
Come insegnava fra gli altri il grande Max Weber, le scienze umane devono escludere ogni considerazione ideologica, estetica, etica ecc., limitandosi a fornire un’analisi obiettiva dell’oggetto esaminato. Il sottoscritto pertanto non si prefigge d’esprimere qui un giudizio morale o politico sugli accadimenti suddetti, ma solo e più modestamente di provare a riportarne una sintesi con meri fini divulgativi, essendo già stati trattati esaurientemente da alcuni studiosi.


Si può premettere che queste vicende, contrariamente a ciò che sostengono taluni, non sono per nulla rimaste “nascoste” ossia “occultate”. Al contrario, dei fatti di Pontelandolfo e Casalduni parlarono già nel secolo XIX studi sul brigantaggio, come ad esempio quello celebre di Marc Monnier, nostalgici del regno borbonico quale Giacinto De Sivo, memorie autobiografiche, articoli di giornale d’ogni tendenza ecc. L’onorevole Giuseppe Ferrari ne discusse in Parlamento, nella seduta alla Camera del 2 dicembre 1861, dopo aver visitato personalmente Pontelandolfo il 1 novembre dello stesso anno. Praticamente in contemporanea a questi accadimenti e negli anni immediatamente posteriori, mentre la lotta al brigantaggio continuava, questi fatti erano conosciuti, liberamente divulgati, discussi in prospettive differenti. Naturalmente, anche la storiografia scientifica del Novecento li ha affrontati. Ad esempio, lo storico Franco Molfese li riferisce nella sua opera “Storia del brigantaggio dopo l’Unità”, pubblicata a Milano nel 1964 e che viene ritenuta tutt’ora, per quantità delle fonti esaminate e per bravura e capacità nel comporre un quadro complessivo ed equilibrato, il miglior saggio mai scritto sulla repressione del fenomeno brigantesco dopo il 1860. È sufficiente conoscere le fonti primarie ottocentesche, oppure la storiografica accademica novecentesca, per sapere che di quel che accadde in questi due paesi del Beneventano si è sempre scritto pubblicamente e liberamente. Non ci si trova dinanzi ad un evento tenuto segreto ed infine smascherato in anni recenti, ma di un avvenimento conosciuto e studiato praticamente dal momento in cui si compì fino ad oggi. Ciò premesso, si può passare ora a fornire una rapida sintesi delle vicende. 

Il 7 agosto del 1861 un gruppo di briganti, aventi per capobanda Cosimo Giordano, fece irruzione a Pontelandolfo, approfittando dell’allontanamento di volontari della Guardia nazionale. Secondo alcune fonti, sarebbero stati invitati dall’arciprete Epifanio De Gregorio e da un gruppo di canonici. In ogni caso, dopo il loro ingresso in paese si diedero al saccheggio, incendiarono abitazioni e pubblici registri e devastarono uffici ed edifici dell’amministrazione. Furono bruciati gli archivi comunali e la biblioteca e venne gravemente danneggiata la grande collezione d’arte del giudice Giosuè De Agostini, ospitata nel suo palazzo signorile. Fu assalita la corriera postale e vennero derubati i suoi passeggeri. Si ebbero anche diversi assassini d’abitanti. Fra la cittadinanza, parte simpatizzò con i briganti, parte fuggì o fu vittima delle violenze, parte ancora rimase neutrale ovvero non ebbe alcun ruolo attivo. 

Le autorità, avvisate dell’accaduto ma ignare delle dimensioni della banda brigantesca e dell’appoggio datole da parte della popolazione, decisero d’inviare un reparto di militari in perlustrazione. L’11 agosto 1861 giunse così a Pontelandolfo il luogotenente Luigi Augusto Bracci alla testa di 40 bersaglieri del 36° reggimento, con il rinforzo di 4 carabinieri. Entrati in paese senza aver compiuto alcun gesto ostile, anzi inalberando una bandiera bianca in segno di pace e cercando solo d’acquistare viveri, furono assaliti dai briganti e da alcuni cittadini. I soldati, dinanzi ad un numero soverchiante di nemici, ripiegarono prima all’interno d’una torre medievale (il simbolo di Pontelandolfo, ultimo resto d’un castello del Trecento), poi cercarono scampo in direzione di Casalduni. Durante tale ritirata finirono però in un’imboscata e, serrati da ogni direzione da forze preponderanti, s’arresero. Cinque erano caduti in combattimento, un sesto era stato ucciso in precedenza, due erano riusciti provvisoriamente a nascondersi. Nonostante avessero alzato bandiera bianca, i militari superstiti vennero tutti trucidati, tranne un sergente che venne risparmiato perché aveva promesso che non avrebbe più combattuto contro Francesco II. Il tenente Bracci fu torturato per circa otto ore, prima di venire ucciso a colpi di pietra. La testa gli fu tagliata e venne infilzata su d’una croce, posta nella chiesa di Pontelandolfo. Una sorte analoga toccò a tutto il suo reparto, i cui soldati finirono uccisi a colpi di scure, di mazza, dilaniati dagli zoccoli di cavalli ecc. Sei militari, già gravemente feriti, furono massacrati a colpi di mazza. Un cocchiere si segnalò per il suo comportamento, facendo passare e ripassare dei cavalli al galoppo sopra i corpi dei soldati, alcuni moribondi, altri solo feriti ma impossibilitati a muoversi perché legati. 
Fu allora inviato un altro reparto militare, questa volta di ben maggiore forza, comandato dal tenente colonnello Pier Eleonoro Negri e costituito da 400 bersaglieri. Quando entrarono a Pontelandolfo, il 14 agosto del 1861, questi soldati, che già sapevano della strage dei propri commilitoni arresisi, videro che i loro stessi corpi erano stati smembrati ed appesi dai briganti come trofei in diverse parti della località, con il capo mozzo del tenente Bracci che era stato conficcato su d’una croce, come si è detto sopra. A questo punto iniziò la rappresaglia, che coinvolse certamente persone innocenti e vide l’incendio d’entrambi i paesi, Pontelandolfo e Casalduni.
Rimangono da precisare le dimensioni della rappresaglia, con il numero delle vittime e gli stessi danni materiali. Questo deve essere fatto sulla base di ciò che è possibile provare dalle fonti, altrimenti cessa d’essere storia e diventa romanzo ovvero pseudostoria. Esistono analitici studi di storia locale, dedicati proprio a queste tragiche vicende, che forniscono una stima precisa delle perdite di vite umane. 
Si può ricordare anzitutto il saggio “Storia dei fatti di Pontelandolfo”, scritto dal Gr. Uff. dottor Ferdinando Melchiorre Pulzella, (a cui è stata concessa la cittadinanza onoraria proprio da questo comune per i suoi meriti scientifici), che valuta le vittime fra i civili in numero di quindici, precisamente tredici a Pontelandolfo e due a Casalduni.

Una cifra quasi equivalente è proposta da un altro ricercatore storico, Davide Fernando Panella, autore del saggio “L'incendio di Pontelandolfo e Casalduni: 14 agosto 1861”, Questo studio si è basato su documenti parzialmente o totalmente inediti ed in più esaminando le fonti già in precedenza conosciute e la bibliografia sul tema, in modo da avere un quadro complessivo il più completo possibile attuato anche con il confronto delle diverse fonti fra loro. Panella ha analizzato i libri dei morti degli archivi parrocchiali di questi due paesi ed una memoria scritta dal parroco di Fragneto Monforte: tutti questi documenti furono redatti da sacerdoti che furono testimoni oculari dell’accaduto e sono stati scritti con grande precisione e cura dei dettagli. Panella riporta nel suo studio l’elenco dei morti dovuti alla rappresaglia, mostrando come il Registro dei defunti della parrocchia Santissimo Salvatore di Pontelandolfo li enumeri ad uno ad uno, indicandone nome, cognome, genitori, età, causa della morte (ucciso in casa, ucciso per strada, morto per le fiamme ecc.).

Questo ricercatore può così fornire un quadro esatto delle vittime immediate della rappresaglia, riportandone tutte le generalità anagrafiche, il luogo di sepoltura e naturalmente il numero totale: i morti del 14 agosto furono 13, di cui 10 vennero intenzionalmente uccisi, mentre 3 morirono bruciati. Costoro erano persone anziane, che presumibilmente non erano riuscite a sfuggire alle fiamme. Fra questi 13 morti, 11 erano uomini e 2 donne, rispettivamente di 94 e 18 anni. Non risultano adolescenti o bambini fra le vittime. 
Panella poi confronta il totale di decessi avvenuto a Pontelandolfo nell’intero 1861 (furono 291) con quelli del 1860 (furono 142) e del 1862 (furono 171). L’ipotesi di questo ricercatore è che l’aumento della mortalità sia stato condizionato dall’incendio delle case e dalle sue conseguenze indirette, tanto che nei mesi d’agosto e di settembre del 1861 dopo la rappresaglia si registrò una insolita crescita della frequenza dei trapassi. Egli però constata che, anche attribuendo all’incendio ed ai suoi effetti a posteriori questi decessi, si resterebbe comunque ben lontani dalle cifre che alcuni hanno ipotizzato. Il Panella difatti conta dal 15 agosto al 15 settembre (quindi dopo la rappresaglia) un totale di 74 morti, che sono per lo più deceduti nelle proprie case e per il resto in abitazioni di campagna, comunque non a causa d’atti di violenza. 
Il totale di vittime della rappresaglia a Pontelandolfo, quale può essere calcolato con precisione sulla base del minuziosissimo archivio parrocchiale, redatto da testimoni oculari, è pertanto di tredici persone. A questi, secondo l’ipotesi di Panella, si potrebbero aggiungere altri decessi ancora, che si ebbero nel mese d’agosto e di settembre e che potrebbero (tale è il parere di questo studioso, ma non è possibile provarlo con certezza) essere stati dovuti in parte alle conseguenze dell’incendio. Questo ricercatore può quindi concludere osservando che il totale di vittime risulta senz’altro di molto inferiore alle stime che erano state precedentemente proposte, facendo notare che i testi che presentavano questo episodio parlavano in maniera generica d’un numero ritenuto elevato di morti, ma senza fornire un computo preciso ed appunto in modo vago ed approssimativo.
Panella ha anche il merito di provare l’imprecisione con cui sovente si è scritto sui fatti di Pontelandolfo e Casalduni. Ad esempio, egli ricorda che quando si parla dell’incendio di Casalduni si riferisce frequentemente che il vecchio arciprete Giovanni Corbo sarebbe stato ucciso a fucilate dai bersaglieri. Consultando il libro dei morti di questa parrocchia Panella ha invece scoperto che questo anziano sacerdote non morì il giorno dell’incendio, tanto che questo ecclesiastico stesso iniziò a redigere personalmente pochi giorni più tardi, il 18 agosto 1861, un altro registro dei decessi, nel quale menzionava anche la rappresaglia. Don Giovanni Corbo mori nella primavera dell’anno successivo, il 27 marzo 1862, nell’abitazione in cui allora risiedeva e dopo aver ricevuto i sacramenti.
Un altro caso è stato riferito da questo studioso durante un convegno dedicato al tema “Il brigantaggio nell’Alto Tammaro”, svoltosi con presenza di molti studiosi e ricercatori. Panella ha citato due testi, il primo d’un giornalista che in anni recenti ha scritto anche su Pontelandolfo e Casalduni, il secondo tratto dall’archivio parrocchiale. Questo giornalista, Pino Aprile nel suo “Terroni”, ha affermato che una donna di Pontelandolfo, di nome Maria Izzo, per la sua bellezza sarebbe stata appetita dai bersaglieri, cosicché fu legata ad un albero nuda per essere violentata, prima d’essere uccisa con una baionetta nella pancia. L’archivio parrocchiale, redatto da testimoni oculari, riporta invece che Maria Izzo aveva 94 anni (novantaquattro anni) e che morì arsa nell’incendio della propria abitazione.
Appare evidente da questi due semplici esempi come una certa letteratura abbia offerto un quadro inesatto dei fatti di Pontelandolfo e Casalduni, giacché discorda in modo netto da quanto viene riportato e provato dalle fonti archivistiche: un arciprete morto serenamente molti mesi più tardi è stato presentato come ucciso dai bersaglieri durante la rappresaglia; una quasi centenaria di 94 anni perita nell’incendio della propria abitazione è stata spacciata per una donna bellissima violentata ed uccisa con una baionettata dai soldati. 
È possibile ora trarre alcune conclusioni da questa breve sintesi. Gli eventi dell’agosto del 1861 a Pontelandolfo e Casalduni sono stati conosciuti e studiati in pratica dal momento in cui avvennero sino ai giorni nostri: non ci si trova dinanzi ad un fatto storico ignoto, segreto o tenuto celato. La dinamica degli accadimenti è certa: dapprima vi fu un’irruzione di briganti, con saccheggi, incendi ed assassini; poi il massacro d’un reparto di militari caduto prigioniero; infine la rappresaglia dei bersaglieri, con uccisioni ed incendi.
Per ciò che concerne appunto questa rappresaglia, il totale di vittime accertate per Pontelandolfo è di tredici, cifra su cui concordano sia il Pulzella, sia il Panella. È probabile che vi siano stati anche altri decessi in conseguenza dell’azione dei militari, principalmente a causa dell’incendio. Non è però possibile dimostrare ovvero sapere quanti fra i decessi indicati nel registro dei defunti nel mese successivo ai fatti fossero dovuti a cause naturali e quanti al fuoco. In ogni caso, il totale potenziale rimane inferiore al centinaio. I due paesi non furono interamente distrutti dalle fiamme, poiché gli abitanti, in gran parte allontanatisi al momento dell’arrivo dei soldati, una volta ritornati provvidero a spegnere i fuochi. Alcune case certamente bruciarono, ma altre rimasero solo danneggiate. Si continuò a vivere ed ad abitare a Pontelandolfo e Casalduni anche dopo la rappresaglia, tanto che le fonti utilizzate dal Panella segnalano la continuità della presenza abitativa in entrambe le città.
La descrizione che taluni hanno proposto d’una distruzione intera delle due città e dello sterminio degli abitanti è quindi certamente erronea: la rappresaglia è avvenuta, ma con dimensioni di gran lunga inferiori rispetto a quelle ipotizzate senza prove da una certa pubblicistica antirisorgimentale. Il totale delle vittime si può calcolare al massimo nell’ordine delle decine, sicuramente non delle centinaia o migliaia, mentre i danni inferti all’abitato non furono uniformi e non impedirono che molti cittadini continuassero ad abitare in questi due paesi sin da subito. Non si dimentichi poi che i briganti si comportarono esattamente allo stesso modo quando fecero irruzione, uccidendo alcuni cittadini e dando fuoco ad edifici.
È altrettanto sbagliato inoltre tentare d’interpretare questi accadimenti come un contrasto fra un esercito “straniero” ed una popolazione insorta contro di esso. I reparti militari coinvolti appartenevano all’esercito italiano, che comprendeva membri d’ogni parte d’Italia: Cialdini era di Modena, Pier Eleonoro Negri era di Vicenza, Carlo Melegari di Genova, Luigi Augusto Bracci di Livorno ecc. Inoltre i cittadini locali erano divisi fra i fautori del nuovo stato ed i nostalgici del vecchio, tanto che prima i briganti, poi i soldati esercitarono le loro vendette sugli abitanti. 
Ciò che avvenne nel 1861 a Pontelandolfo ed a Casalduni deve pertanto essere considerato un cruento episodio di guerra civile, in cui una popolazione, che era a favore in parte dell’Italia, in parte del sovrano borbonico, si trovò presa in mezzo ai due contendenti armati, subendo alternativamente le violenze d’entrambi. Gli eccidi furono tre, del 7, 11 e 14 agosto, e videro come vittime rispettivamente cittadini fedeli allo stato italiano, i bersaglieri e carabinieri fatti prigionieri, infine i civili caduti nella rappresaglia. Nel totale di morti accertati la netta maggioranza, circa dei 2/3, è costituita dai militari trucidati dopo la resa.
Prof. Marco Vigna, dottore di ricerca in storia


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