venerdì 25 marzo 2011

Risorgimento: i moti del 1820, le rivoluzioni di Napoli e del Piemonte, Guglielmo Pepe e Santorre di Santarosa

Nel secondo appuntamento con il Risorgimento ci occupiamo della fase iniziale dell’epoca storica che nacque dalle ceneri dell’impero napoleonico e terminò con la costituzione dello stato italiano. Siamo nel 1820. Dopo la caduta di Napoleone il Vecchio Continente aveva fatto un salto nel passato. Il Congresso di Vienna , riunitosi qualche anno prima (1815), aveva riconsegnato le varie monarchie europee ai sovrani spodestati dalle rivoluzioni di fine settecento, un processo storico denominato Restaurazione.
Le popolazioni però non avevano gradito ed alcuni cittadini si erano organizzati in moti cospiratori, atti a portare regimi democratici laddove ora vi erano monarchi assolutisti.  La prima fase delle proteste post-Restaurazione avvenne in Spagna, il primo gennaio 1820:
La data di inizio dei moti può considerarsi il 1 gennaio1820: presso il porto della città marittima di Cadice, in Spagna, alcuni reparti militari avevano ricevuto l’incarico di imbarcarsi alla volta delle colonie spagnole, dove alcune di esse si erano date governi indipendenti. Ciò era stato possibile in seguito all’invasione napoleonica della Spagna, alla cacciata dei Borbone e alla mancanza di un governo centrale saldo. Con l’invio dei battaglioni si pensava di sedare così la rivolta guidata da Simón Bolívar.
Gli ufficiali rifiutarono di imbarcarsi e diedero inizio ad una rivolta, dettapronunciamiento.
I rivoltosi contrinsero il Re di Spagna Ferdinando VII a concedere la Costituzione. Il Sovrano spagnolo chiese poi aiuto alla Santa Alleanza, una antesignana della Nato, una associazione delle potenze europee impegnata a difendere i singoli paesi da possibili attacchi interni. La Santa Alleanza autorizzò la Francia ad inviare un esercito in Spagna per aiutare Ferdinando che fu preso prigioniero dai liberali autori dei moti. Il 31 agosto del 1823 l’esercito francese ebbe la meglio sugli insorti e Ferdinando fu rimesso sul trono di Spagna. La rivoluzione liberale era fallita. Ma oramai aveva preso piede in tutta Europa, anche in Italia.
Nel Regno delle Due Sicilie e nel Piemonte, in questi due Stati della penisola si concentrarono principalmente i moti rivoluzionari del 182o.

I moti carbonari di Napoli, Guglielmo Pepe


A Napoli accadde così:
La notte tra il il 1 e il 2 luglio 1820, la notte di San Teobaldo, patrono dei carbonari, Morelli e Silvati diedero il via alla cospirazione disertando con circa 130 uomini e 20 ufficiali. Ben presto li raggiunse Minichini che entrò in contrasto con Morelli: il primo voleva procedere con un largo giro per le campagne allo scopo di aggiungere alle proprie fila quei contadini e quei popolani che credeva attendessero di unirsi alla cospirazione; il secondo voleva puntare direttamente su Avellino dove lo attendeva il generale Pepe. Minichini lasciò lo squadrone allo scopo di seguire il proprio intento, ma dovette far ritorno poco dopo senza risultati. Il giovane ufficiale Michele Morelli, sostenuto dalle proprie truppe, procedeva verso Avellino senza incontrare per le strade l’entusiasmo delle folle che si aspettava.
Il 2 luglio, a Monteforte, fu accolto trionfalmente. Il giorno seguente, Morelli, Silvati e Minichini fecero il loro ingresso ad Avellino. Accolti dalle autorità cittadine, rassicurate del fatto che la loro azione non aveva intenzione di rovesciare la monarchia, proclamarono la costituzione sul modello spagnolo. Dopo di che, passò i poteri nelle mani del colonnello De Concilij, capo di stato maggiore del generale Pepe. Questo gesto di sottomissione alla gerarchia militare, provocò il disappunto di Minichini che tornò a Nola per incitare una rivolta popolare. Il 5 luglio, Morelli entrava a Salerno, mentre la rivolta si espandeva a Napoli dove il generale Guglielmo Pepe aveva raccolto molte unità militari. Il giorno seguente, il re Ferdinando I si vide costretto a concedere la costituzione.
Dopo pochi mesi, le potenze della Santa Alleanza, riunite in congresso a Lubiana, decisero l’intervento armato contro i rivoluzionari che nel Regno delle Due Sicilie avevano proclamato la costituzione. Si cercò di resistere, ma il 7 marzo1821 i costituzionalisti di Napoli comandati da Guglielmo Pepe, sebbene forti di 40.000 uomini, furono sconfitti ad Antrodoco dalle truppe austriache. Il 24 marzo gli austriaci entrarono a Napoli senza incontrare resistenza e chiusero il neonato parlamento.
Dopo un paio di mesi, re Ferdinando revocò la costituzione e affidò al ministro di polizia, il principe di Canosa, il compito di catturare tutti coloro che erano sospettati di cospirazione.
Guglielmo Pepe


La rivoluzione fu realizzata grazie alla collaborazione di alcuni alti ufficiali, tra i quali spiccava il generale Guglielmo Pepe, già combattente ai tempi della Repubblica Partenopea nel 1799. Da alcuni suoi scritti possiamo rivivere i momenti concitati della rivoluzione del 1820:
Avevo con me quattro reggimenti di cavalleria, quasi tutte le milizie della provincia di Avellino (circa 5.000), ed un battaglione di bersaglieri*. I carbonari in armi, ordinati in corpi sciolti, erano circa ventimila. Da Foggia attendevo il reggimento di cavalleria di Russo: cinquemila militi, e carbonari quanti più ne volessi. Mentre io dettavo istruzioni ai capi dei corpi, e studiavo come ordinare provvisoriamente alla meglio gli insorti, mi giunsero lettere del duca di Calabria e messaggeri del re, che mi assicuravano la concessione della costituzione da parte della Spagna. Quindi non vi era più bisogno di combattere.
Dopo la sconfitta del 1821, che pose fine ai moti di Napoli, Pepe andò in esilio. Fu poi protagonista della Prima Guerra d’Indipendenza, gli fu affidata da Daniele Manin la difesa della Repubblica di Venezia. Anche li ebbe la peggio contro la potente truppa austriaca. Esiliato in Francia, tornò in Italia e piu precisamente a Torino , dove mori nel 1855.

La Rivoluzione Piemontese, Santorre di Santarosa

Santorre di Santarosa

Anche il Piemonte si oppose alla Restaurazione. Lo fece tramite alcuni gruppi di idee liberali e borghesi che volevano maggiori libertà per la popolazione. Cercarono di realizzarle tramite il Re di Sardegna Vittorio Emanuele I, il quale invece era di tutte altre idee. Cercarono quindi una alleanza con un altro Savoia, di un ramo secondario della famiglia regnante, il Principe Carlo Alberto. Carlo Alberto si fece convincere e cosi, assieme ad uno dei principali ispiratori dei moti piemontesi, Santorre di Santarosa, la cospirazione ebbe inizio:
Il 6 marzo1821, durante la notte, Santorre e altri generali si riunirono nella biblioteca del principe, insieme allo stesso Carlo Alberto, per organizzare nei dettagli l’impresa che, secondo un accordo precedente, sarebbe dovuta iniziare nel mese di febbraio: nel corso dell’incontro, Carlo Alberto mostrò alcuni tentennamenti, soprattutto sulla loro intenzione di dichiarare guerra all’Austria, che portarono Santorre ad avere qualche dubbio sul principe e sulle sue vere intenzioni. Tuttavia Carlo Alberto lasciò intendere il suo appoggio, e per questo motivo Santorre e i suoi associati fecero pervenire il messaggio di prossimo inizio della rivolta ai reparti militari di Alessandria, che, il 10 marzo, diedero inizio all’insurrezione, seguiti subito dopo dai presidi di Vercelli e Torino. In quell’occasione fu emesso da parte dei generali insorti il famoso Pronunciamento, un proclama con il quale si decise l’adozione di una costituzione, improntata su quella spagnola di Cadice del 1812, che prevedeva maggiori diritti per il popolo piemontese e una riduzione del potere del sovrano. Ma il re, piuttosto che concedere il documento, preferì abdicare in favore del fratello Carlo Felice di Savoia, allora assente dal Piemonte. La reggenza venne così affidata al principe Carlo Alberto che, assunto l’incarico, concesse la Costituzione e nominò Santorre di Santarosa ministro della guerra del governo provvisorio.
Di ritorno nella capitale, il nuovo sovrano revocò la costituzione e impose a Carlo Alberto di rimettersi al suo volere, abbandonando Torino e recandosi a Novara, rinunciando definitivamente alla sua carica e alla guida del movimento di rivolta.Nella notte del 22 marzo, mentre alcuni, tra cui lo stesso Santa Rosa, annunciavano una prossima guerra contro l’Austria, Carlo Alberto fuggì segretamente a Novara abbandonando gli insorti al loro destino. Poche ore dopo Santorre, alla guida di un piccolo reparto, si recò nella città piemontese per tentare di convincere il principe e le sue truppe a tornare dalla sua parte, ma la missione si rivelò del tutto infruttuosa.
Privi di un appoggio, i costituzionali decisero di sciogliersi.
L’Austria inviò quindi delle truppe in Piemonte per ristabilire l’ordine e perseguire gli insorti. Santorre  fu costretto all’esilio, prima in Svizzera poi in Francia. La sua voglia di libertà però ebbe la meglio:
Nel frattempo, cominciò a coltivare l’idea di andare a combattere in Grecia per il movimento indipendentista locale, che mirava all’indipendenza dall’Impero ottomano ed alla creazione di un governo libero e moderno. Dopo lo scoppio della Guerra d’indipendenza greca, Santorre decise di lasciare l’Inghilterra per combattere per la libertà; indipendentemente dalla patria per la quale avrebbe combattuto, voleva morire per quello in cui credeva.
Mori nel 1825 proprio per difendere un’isola greca dall’esercito egiziano, durante la Battaglia di Sfacteria.
Per dare un’idea esatta del­le cause che provocarono la ri­voluzione piemontese, e per far­ne cogliere il vero carattere, bisogna ritornare indietro nel tempo, ad un’epoca me­moranda in cui la caduta dell’impero francese ridonò al Piemonte la sua esistenza politica e i suoi principi. Non v’è cuore piemontese che non abbia ser­bato ricordo del20 maggio 1814: mai Torino  vide spet­tacolo più commovente – quel popolo che si accalcava attor­no al suo re; quella gioventù impaziente di contemplarne le sembianze; quelle grida di gioia, quella cordiale esultanza dipinta in ogni vol­to!
Nobili, borghesi, popolani di città e di campagna, erava­mo allora uniti da uno stesso sentimento: avevamo le stesse speranze. Non più divi­sioni, non più tristi memorie. Il Piemonte non formava che una sola famiglia, di cui Vitto­rio Emanuele era il padre ado­rato.
Ma quel buon principe era attorniato da consiglieri inetti: lo persuasero che bisognava sta­bilire sulle vecchie basi la mo­narchia dei suoi avi. Così facemmo un passo indietro di mezzo secolo.
Fonti: Wikipedia

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