Quando nasce il divario nord-sud? E perchè?
S'è già visto che l'economia del sud era più debole, le aziende più piccole, i mercati di sbocco meno ricchi.
La situazione è peggiorata quasi subito, dopo l'unificazione del paese, quando il governo italiano ha deciso di eliminare i dazi doganali interni e di rendere uguali per tutti i dazi verso l'estero.
In un solo giorno, i dazi che proteggevano le aziende del sud dalla concorrenza straniera si sono ridotti dell'80%, mentre sono scomparsi i dazi applicati ai prodotti di altre zone d'Italia: "le tariffe [dazi] del 188 e del 1887 contribuiscono potentemente al peggioramento cumulativo del divario tra Nord e Sud" (1) e solo nel 1904 si prendono provvedimenti (la legge per Napoli) a favore di alcune zone industriali.
Nel frattempo il divario era cresciuto: "soprattutto a partire dal 1881, allorchè inizia una fase di consistente industrializzazione del nord e entra invece profondamente in crisi l'industria tradizionale meridionale". (1)
Anche il fisco sfavorì il sud: il bilancio in (quasi) pareggio, vanto della destra storica, fu possibile grazie all'imposta sul macinato che colpiva gli italiani più poveri. In un'Italia che correva a velocità diverse, era il sud, più lento, a pagare il prezzo del bilancio in pareggio (o quasi).
Dunque il divario iniziale è cresciuto per effetto della politica liberista della Destra storica che ha messo tutti sullo stesso piano: chi era più competitivo, chi aveva accesso a mercati più ricchi, chi disponeva di infrastrutture migliori ha avuto la meglio.
Chi non conosce questa pagina della storia economica, preferisce la tesi del complotto: il sud era al top ma qualcuno l'ha affossato. Chi? Il nord... anche se il parlamento dopo il 1861 rappresentava tutta l'Italia e i deputati del sud contavano, e non poco, tanto che quando si crea la Banca d'Italia, Giolitti lascia al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia il diritto di emettere moneta, convinto che altrimenti i deputati eletti al sud non avrebbero sostenuto il progetto.
(1) V.Valli, Politica economica, Carocci, pag. 222
S'è già visto che l'economia del sud era più debole, le aziende più piccole, i mercati di sbocco meno ricchi.
La situazione è peggiorata quasi subito, dopo l'unificazione del paese, quando il governo italiano ha deciso di eliminare i dazi doganali interni e di rendere uguali per tutti i dazi verso l'estero.
In un solo giorno, i dazi che proteggevano le aziende del sud dalla concorrenza straniera si sono ridotti dell'80%, mentre sono scomparsi i dazi applicati ai prodotti di altre zone d'Italia: "le tariffe [dazi] del 188 e del 1887 contribuiscono potentemente al peggioramento cumulativo del divario tra Nord e Sud" (1) e solo nel 1904 si prendono provvedimenti (la legge per Napoli) a favore di alcune zone industriali.
Nel frattempo il divario era cresciuto: "soprattutto a partire dal 1881, allorchè inizia una fase di consistente industrializzazione del nord e entra invece profondamente in crisi l'industria tradizionale meridionale". (1)
Anche il fisco sfavorì il sud: il bilancio in (quasi) pareggio, vanto della destra storica, fu possibile grazie all'imposta sul macinato che colpiva gli italiani più poveri. In un'Italia che correva a velocità diverse, era il sud, più lento, a pagare il prezzo del bilancio in pareggio (o quasi).
Dunque il divario iniziale è cresciuto per effetto della politica liberista della Destra storica che ha messo tutti sullo stesso piano: chi era più competitivo, chi aveva accesso a mercati più ricchi, chi disponeva di infrastrutture migliori ha avuto la meglio.
Chi non conosce questa pagina della storia economica, preferisce la tesi del complotto: il sud era al top ma qualcuno l'ha affossato. Chi? Il nord... anche se il parlamento dopo il 1861 rappresentava tutta l'Italia e i deputati del sud contavano, e non poco, tanto che quando si crea la Banca d'Italia, Giolitti lascia al Banco di Napoli e al Banco di Sicilia il diritto di emettere moneta, convinto che altrimenti i deputati eletti al sud non avrebbero sostenuto il progetto.
(1) V.Valli, Politica economica, Carocci, pag. 222
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