domenica 14 settembre 2014

La “temeraria libertà” di Antonio Jerocades incoraggiata da Antonio Genovesi

Antonio JerocadesL’abate Antonio Jerocades (Parghelia, 1 settembre 1738 – Tropea, 25 novembre 1803) entrò nel seminario di Tropea nel 1756 in età avanzata e senza una particolare propensione per gli studi ecclesiastici.
Nel 1759 incominciò a frequentare i corsi di Giovanni Andrea Serrao, il quale, fin da quando era arrivato nel seminario di Tropea, aveva incoraggiato un gruppo di giovani ad un necessario rinnovamento culturale e al rafforzamento dell’indipendenza e dell’autonomia del Regno di Napoli dalla curia romana.
Dopo esser stato da poco nominato sacerdote dal vescovo Felice De Paù, nel 1765 l’abate Jerocades veniva allontanato dal collegio di Tropea con l’accusa di “aver corrotto il cuore e la mente di parecchi seminaristi”.
Tale episodio lo rese noto nel Regno di Napoli , ma da tempo era in corrispondenza con Antonio Genovesi e fu quest’ultimo che, apprezzandone  la " temeraria libertà", incoraggiò colui che considerava un ideale portavoce delle idee riformatrici e lo sostenne con ogni mezzo, ricorrendo spesso alla corrispondenza per il perseguimento del successo nella causa comune.
In una delle lettere che Genovesi indirizzò a Jerocades, si evidenzia l’umiltà del Genovesi che conosceva bene quanto fossero preziosi i suoi scritti, non solo per Jerocades.
Genovesi scrive :
Qualunque sia il pregio delle mie opericciuole, che so che ‘è picciolissimo, s’elleno però han potuto servire ad eccitarla ai buoni studi, ed alla coltura della vera pietà e virtù, all’amore del ben pubblico dell’umanità, sarà per me un motivo di farmela amare e stimare, che io non ho fatto mai. Ella mi si professa un amico ignoto, né io curo sapere più in là. Quel che mi piacerebbe, ch’ella si facesse conoscere a tutto il Regno ed all’Italia, per lo studio di promuovere le buone cognizioni e le arti utili, che sono il solo sostegno della presente vita, e le quali unite alla scienza delle divine cose, e alla divina causa, ci facilitano la strada alla vera virtù”.
Nelle parole del Genovesi era esplicito il sostegno a proseguire in un magistero che, seppur non ortodosso, avrebbe mirato ad illuminare la società riguardo non solo all'affermazione delle idee riformatrici e dell'uguaglianza sociale, ma anche alle idealità della tolleranza religiosa, della libertà di culto, della lotta alla corruzione e al lusso della curia.
Inoltre si intendeva necessario comunicare che la virtù non era collegata alla religione, e, tramite i suoi vari scritti che gli costarono tanta persecuzione ed imprigionamenti, Jerocades onorò l’incoraggiamento di Antonio Genovesi a far conoscere “ la strada della vera virtù” in maniera più agevole e diretta in un’opera buffa Pulcinella da Quacquero, nella quale si affronta anche la tematica dell’ateo virtuoso.
Allorché gli venne richiesto, in occasione del carnevale del 1770, di preparare una recita per i convittori del collegio ove prestava il suo insegnamento, l’abate propose un dramma, Il ritorno di Ulisse, e due intermezzi comici, uno dei quali sarà Pulcinella da Quacchero.
Manoscritto Pulcinella da QuaccheroNel dialogo incalzante dell’intermezzo, Jerocades presentava una comunità quacchera della Pennsylvania , colonia inglese in terra d’America, quale modello ideale di società nella quale si considerava pienamente realizzata la vera uguaglianza sociale.
In tal modo Jerocades intendeva esaltare la Pennsylvania di William Penn quale patria della libertà in cui Penn aveva saputo instaurare un governo democratico fin dal 1681, ossia dall'anno in cui aveva ottenuto dall'Inghilterra il possesso della colonia, la quale ospitava gruppi culturali e soprattutto religiosi perseguitati in Europa.
Come è noto, fu la capitale Philadelphia, fondata nel 1682, a raggiungere standard commerciali e culturali di livello avanzato, tale da diventare una delle principali città simbolo della Rivoluzione Americana del 1776.
L'intento primario di Jerocades era quello di opporre le grandi idealità di democrazia e di uguaglianza in opposizione alla società dell'Antico Regime, di cui l'allora Regno di Napoli rappresentava uno dei simboli più rilevanti in tema di mancata libertà, inesistente democrazia, disprezzo del valore di uguaglianza, alto livello di intolleranza religiosa ed inaccettabile lusso, sfarzo e corruzione della curia, anche se solo inizialmente, in relazione alla sua battaglia contro la curia, Jerocades ebbe il sostegno del ministro del Regno di Napoli Bernardo Tanucci, allora impegnato in una battaglia riformatrice contro la curia romana e napoletana.
Infatti il Tanucci si dedicò alla modernizzazione di un Regno in cui poteri e privilegi feudali erano appannaggio in maniera rilevante anche di una curia napoletana ingorda e corrotta. Lo scontro del Tanucci con la Chiesa aveva portato all’espulsione dal Regno di Napoli dei gesuiti, che il Tanucci, in una lettera datata 26 aprile 1767, definiva  “intriganti, sediziosi, corruttori della morale e della religione”.
Purtuttavia ciò non impedì che fosse Antonio Genovesi a pagare per il suo pensiero antidogmatico con l’allontanamento dal Regno di Napoli.
Dopo la morte di Antonio Genovesi, Antonio Jerocades fu più volte portato in tribunale, condannato all’esilio e all’imprigionamento in varie località, di cui alcune segrete e nascoste.
Si consideri che, nel 1793 ed all’età di 55 anni, l’abate Antonio Jerocades fu tenuto prigioniero nel piccolo villaggio di Pignataro presso il convento dei frati alcantarini, ove nessuno potesse trovarlo e pensare di raggiungerlo. Pur non avendo subito la condanna a morte per la sua partecipazione agli eventi della Rivoluzione Napoletana del 1799, caduta la Repubblica, egli scontò il suo sostegno con una ulteriore detenzione nel carcere dei Granili a Napoli.
Provato nel fisico, Jerocades morì nel convento dei Liguorini nella città di Tropea, ove era stato rinchiuso, il 25 novembre 1803, all’età di 65 anni.

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