martedì 2 settembre 2014

La Costituzione della Repubblica Napoletana del 1799

“Le costituzioni sono simili alle vesti: è necessario che ogni individuo, che ogni  età di ciascun individuo abbia la sua propria, la quale, se tu vorrai dare ad altri, starà male. Le costituzioni si debbono fare per gli uomini quali sono e quali eternamente saranno, pieni di vizi, pieni di errori; imperocchè tanto è credibile che essi voglian deporre que’ loro costumi, che io reputo una seconda natura, per seguire le nostre istituzioni, che io credo arbitrarie e variabili, quanto sarebbe ragionevole un calzolaio che pretendesse accorciare il piede di colui cui avesse fatta corta una scarpa. Quando una costituzione non riesce, io do sempre torto al legislatore; come appunto, quando non calza una scarpa, do torto al calzolaio”.
Così Vincenzo Cuoco primo storico della Repubblica napoletana del 1799, della quale era stato, al tempo stesso, un critico implacabile non meno che un cittadino leale efficacemente sintetizzava il proprio giudizio sul progetto costituzionale discusso e approvato a Napoli a pochi mesi dalla proclamazione della Repubbliche “sorelle” della Francia direttoriale, ricalcava in modo alquanto evidente il modello della Costituzione francese dell’anno III.
La critica che il Cuoco muoveva al testo napoletano era in realtà rivolta al costituzionalismo rivoluzionario italiano nel suo complesso, i cui artefici sosteneva il Cuoco pervasi di esprit gèomètrique, avevano introdotto degli ordinamenti identici a quelli sperimentati in Francia senza tenere in minimo conto le esigenze concrete della loro popolazioni, commettendo pertanto  l’errore di vedere nelle costituzioni null’altro che una sovrastruttura da imporre al popolo a proprio arbitrio, anziché concepirle quali il prodotto naturale e spontaneo della sua coscienza storica. 
Pertanto, pur non negando che il progetto costituzionale del Pagano fosse “migliore la certo delle costituzioni ligure, romana, cisalpina”, in virtù di tale concezione rigorosamente storicista, il Cuoco non poteva evitare di giudicarlo comunque “troppo francese e troppo poco napoletano”.
Tale giudizio premessa di una critica più globale all’intera esperienza  rivoluzionaria napoletana, culminata nell’elaborazione della nota categoria  storiografica italiana, per lungo tempo, si è accostata alle cosiddette costituzioni giacobine, a lungo considerate senza eccezioni alcuna nulla di più che delle scolastiche imitazioni dell’originale francese e, pertanto, non meritevoli di alcun interesse specifico.
La vicenda della Repubblica napoletana, però, fu nel complesso assai dissimile da quella delle altre Repubbliche sorte nel triennio 1796- 1799, non solo e non tanto perché di gran lunga più effimera ( non arrivò a sfiorare i sei mesi di vita ) e pertanto non suscettibile di un giudizio sull’effettivo funzionamento delle istituzioni politiche ivi poste in essere, ma soprattutto per l’attiva partecipazione dell’intellettualità locale, per il maggior grado di autonomia concesso dalle autorità politiche e militari francesi al governo napoletano e, non secondariamente, per quel bagaglio d’esperienza politica che alcuni dei suoi principali esponenti politici avevano già avuto modo di accumulare “servendo” nei governi di altre repubbliche giacobine italiane, in particolare nella Cisalpina.
Tra i numerosi patrioti meridionali che, alla notizia della proclamazione della Repubblica napoletana partirono immediatamente da Milano ove avevano trovato asilo politico, alla volta della capitale meridionale, vi fu l’avvocato Francesco Mario Pagano, già docente di diritto penale all’Università di Napoli e celebrato autore  degli importanti Saggi politici de’ principi progressi e decadenza della società ( 1783), e delle Considerazioni sul processo criminale (1787), il quale, giunto a Napoli il 1°febbraio del 1799, venne subito invitato dal governo provvisorio a far parte insieme a Giuseppe Albanese, Giuseppe Logoteta e Domenico Forges Davanzati del Comitato di legislazione incaricato di redigere la Costituzione della Repubblica; compito, quest’ultimo, che di fatto sarà svolto in via esclusiva proprio dal Pagano.
Benchè i severi giudizi del Cuoco sul costituzionalismo rivoluzionario lascino intuire un’accettazione del tutto pedissequa da parte del napoletano Comitato di legislazione delle norme previste dalla Costituzione francese dell’anno III, una serena lettura degli articoli del Progetto costituzionale elaborato dal Pagano non  può non condurre e delle conclusioni differenti. 
In primo luogo, ben diversa dalla francese Dichiarazione dei diritti e doveri dell’uomo e del cittadino era la Dichiarazione dei diritti, e doveri dell’Uomo,  del Cittadino del Popolo, e de’ suoi Rappresentanti che precedeva la Costituzione. 
Il principio dell’uguaglianza che nella Dichiarazione francese figurava fra i diritti dell’uomo, insieme alla libertà, alla sicurezza e alla proprietà, nel testo napoletano era al primo posto, essendo la base di tutti gli altri diritti.  Inoltre, la Dichiarazione napoletana, accanto ai diritti dell’uomo e del cittadino, prevedeva una terza categoria di diritti che non era mai stata, in nessuna delle Costituzioni francesi, specificamente trattata in un capo ad hoc: si tratta dei diritti del popolo, individuati dal Pagano nel diritto di darsi una costituzione ( art. 13 ) e di modificarla ( art.14); nel diritto di legiferare (art.14); di fare la guerra ( art.15)e d’imporre le contribuzioni (art.16). 
Inoltre, il Progetto napoletano prevedeva esplicitamente il diritto di resistenza all’opposizione ( art.9) che, presente nella Dichiarazione francese dell’anno I ( 1793), mancava invece in quella del 1795.
Il Pagano, però, attribuiva a tale diritto  un significato diverso da quello dei montagnardi, ritenendo infatti che tale diritto  fosse una conseguenza di quello di difesa (e non la “ consèquence des autres droits de l’homme”,  come avevano affermato i costituenti del 1793) e ben si guardò dal concepire l’insurrezione come un dovere dell’uomo o del cittadino.
Anche sotto il profilo dei doveri, il Pagano, rispetto alla Dichiarazione del  1795, introduceva per la prima volta una terza categoria di soggetti: i pubblici funzionari, tenuti a garantire i cittadini contro ogni violazione e consacrare la propria vita al bene della Repubblica ( art.25 e 26); quasi una sorta di primo esempio di una serie di norme deontologiche per coloro che esercitano una funzione pubblica.
Un altro aspetto intorno al quale è possibile ravvisare nel Progetto costituzionale napoletana il contributo originale del pensiero del Pagano è il tema dell’educazione pubblica.
Difatti, mentre la Costituzione termidoriana si limitava ad occuparsi della sola “istruzione”, il titolo X del Progetto riguardava al tempo stesso la “educazione e la istruzione pubblica”.
Già nei suoi Saggi politici, il Pagano aveva dedicato un intero capitolo al tema dell’educazione, distinguendolo nettamente l’istruzione che rende l’uomo “illuminato e generalmente colto” dalla educazione che è “il concorso di tutte l’esterne cagioni fisiche, morali ed accidentali che sviluppando i naturali  talenti segano per mezzo delle sensazioni dell’animo gl’indelebili caratteri de’ costumi, formano lo spirito e ne forniscono certa quantità l’idee che creano il nostro interno universo”.
Il Pagano, pertanto, riteneva che la Repubblica dovesse dedicare tutte le sue cure al problema dell’educazione, mentre la Costituzione francese così si legge nel Rapporto pur non avendo negletta l’istruzione, aveva avuto riguardo più alla parte intellettuale di essa che a quella morale, cioè all’educazione vera e propria.
E in altro passo il Pagano, dopo aver sostenuto l’influenza decisiva dell’educazione sulle stesse istituzioni politiche, rimproverava al Montesquieu di non aver saputo comprendere che l’educazione dovesse essere parte integrante della Costituzione.
Nel Progetto, chiara è dunque la distinzione fra l’educazione pubblica che comprendeva “ esercizi ginnici e guerrieri” ( art.295),  lo studio del catechismo repubblicano, spettacoli teatrali volti a “promuovere lo spirito della libertà” ( art.299); è peraltro da ricordare che il Pagano fu egli stesso autore di drammi patriottici), nonché delle “feste nazionali per eccitare le virtù repubblicane” (art. 300) e  l’istruzione che comprendeva lo studio nozionistico e che doveva essere impartita  nelle scuole primarie e superiori. 
L’importanza attribuita dal Pagano all’educazione pubblica è infine testimoniata dall’avere egli indicato, nell’ambito dei doveri dell’uomo,  il “dovere di istruzione egli illuminare gli altri” (art.20), ritenendo che tale dovesse essere il compito di ogni uomo colto giacchè un popolo che “ di se stesso dee in mano avere le redini, fare le leggi, dichiarare la guerra, conchiudere la pace, amministrar le finanze, conviene che sia illuminato e generalmente colto”.
Possiamo ora esaminare gli articoli relativi all’organizzazione dei poteri dello Stato.
Nel Rapporto del Comitato di legislazione al governo provvisorio redatto dallo stesso Pagano con lo scopo d’illustrare i principi- cardine del suo progetto  costituzionale, il giurista affermava che quella che la Repubblica napoletana si  apprestava ad adottare era senz’altro “la costituzione della madre repubblicana  francese”, ma aggiungeva che il Comitato di legislazione “riflettendo che la diversità del carattere morale, le politiche circostanze e ben anche la fisica situazione delle nazioni richiedono necessariamente de’ cangia menti nelle costituzioni”,  aveva deciso di apportare talune modifiche alla Costituzione della “ repubblica madre”, non soltanto riguardo al modo d’intendere la libertà e i diritti dei cittadini, ma anche relativamente all’organizzazione del potere.
Dalla lettura degli articoli del Progetto, difetti, i correttivi apportati al testo  francese appaiono molteplici e sostanziali.
Difatti, sebbene il Progetto del Pagano, sull’esempio anch’esso il potere legislativo ad un organo bicamerale formato da un Senato di 50 membri, vedovi o congiunti, di almeno 40 anni di età e da un Consiglio di 120 membri di età non inferiore ai 30 anni, incaricato di compito di eleggere i cinque dell’Arcontato, l’organo collegiale cui spettava il potere esecutivo, l’art.47 del Progetto, diversamente sia dalla Costituzione del Direttorio sia da tutte le altre Costituzioni italiane del triennio giacobino, conferiva il potere d’iniziativa legislativa e di redazione dei testi di legge al più “maturo” Senato, concedendo al Consiglio soltanto il potere di respingerle o approvarle.  
Il Pagano, difatti, partendo dal presupposto che “ proporre de leggi” fosse  “più l’effetto della fredd’analisi che dell’ardito genio”, e ritenendo, in conseguenza di ciò, che tale compito richiedesse “ più estensioni di lumi, che voli di spirito”,  era dunque dell’avviso che “pochi uomini maturi” fossero più adatti a tale compito rispetto ad un “ardente moltitudine di giovani”.
In tal modo, pertanto, il giurista meridionale attuava un vero e proprio rovesciamento del rapporto fra i due rami del potere legislativo rispetto all’originario modello francese.
Anche nell’organizzazione giudiziaria la costituzione napoletana si discostava da quella francese, giacchè per evitare spese e spostamenti, disponeva che gli appelli nei giudizi civili si presentassero non al tribunale di un altro dipartimento, ma una diversa sezione dello stesso tribunale; variazione giustificata dal Pagano con l’osservazione che il sistema francese fosse “ fuor di dubbio incomodo assai e dispendioso ancora ai litiganti, soprattutto ai poveri che così dovranno recare per ottenere giustizia nella centrale di un dipartimento per più giorni forse distante dal luogo della loro dimora”.
Alla preminenza data dal Pagano, come abbiamo avuto modo di osservare, all’educazione si ricollega l’istituto della Censura ( art. 314- 316) del tutto assente nella Costituzione del Direttorio.
Tale istituto sull’utilità del quale avevano già dissertato Montesquieu, Rousseau e Filangieri era concepito dal Pagano come un tribunale composto da 5 membri (di età non inferiore ai cinquant’anni, eletti per la durata di un anno) e presente in ogni cantone, preposto alla vigilanza sull’educazione e destinato alla salvaguardia della morale pubblica.
Partendo dal presupposto che la libertà non fosse minacciata solo dalle usurpazioni dei poteri costituiti, ma “benanche dai privati cittadini e dalla pubblica corruzione ”, il Pagano riteneva che la Costituzione dovesse “innalzare un argine altissimo contro la corruzione dei costumi non meno che contro l’eccessivo potere dei funzionari” e, pertanto, attribuiva ai censori il compito di vigilare sulla condotta democratica dei cittadini, con la facoltà di escluderli dal diritto attivo o passivo di voto in caso di corruzione.
L’esigenza si porre in essere degli efficaci strumenti giuridici volti a impedire ogni forma di usurpazione del potere, costituire inoltre il fondamento ideologico di quella che, fra le numerose novità introdotte dal Pagano nel suo progetto rispetto al modello francese, è forse la più politicamente rilevante: l’Eforato, organo che lo stesso Cuoco non potè fare a meno di definire “ la parte più bella del progetto del Pagano”.
Tale istituto ( il cui nome rievoca quello di una magistratura dell’antica Sparta) era disciplinato dal titolo XIII del progetto al quale era stata data dal Pagano l’intitolazione di “custodia della Costituzione”.
Esso si componeva di 17 membri, tanti quanti erano i dipartimenti della Repubblica, scelti, ogni anno dalle assemblee elettorali fra quanti in possesso dei seguenti requisiti: un’età non inferiore ai 45 anni; l’essere vedovi o congiunti; essere stati, almeno una volta, membri del corpo legislativo o dell’Arcontato e  avere il domicilio nella Repubblica da non meno di 10 anni al momento dell’elezione (art.363).
Le funzioni dell’Eforato erano dettagliatamente elencate dall’art. 368 del che attribuiva a tale corpo il compito di esaminare se la Costituzione fosse stata  osservata in tutte le sue parti e se i poteri avessero osservato i propri limiti costituzionali; così come la facoltà di chiamare ciascun potere nei limiti costituzionali;  così come la facoltà di richiamare ciascun potere nei limiti e doveri rispettivi ciascun potere nei limiti e doveri rispettivi, cessando ed annullando gli atti di quel potere che li avesse esercitati oltre le funzioni attribuitegli dalla  Costituzione, di proporre, infine, al Senato la revisione di quegli articoli della Costituzione;   giudicati poco “convenienti”  e di suggerire al Corpo legislativo l’abrogazione di quelle leggi ritenute opposte ai principi della Costituzione.
Due erano pertanto i compiti fondamentali dell’Eforato: da un lato la revisione della Costituzione e, dell’altro, il controllo costituzionale delle leggi che si svolgeva sia attraverso l’indagine sulla costituzionalità, sia mediante la risoluzione dei confini di attribuzione.  
Le deliberazioni degli efori prendevano il nome di decreti, come era chiaramente affermato nel progetto,sia il Corpo legislativo che l’Arcontato erano tenuti ad uniformarsi.
Com’è ben noto, al momento della stesura del progetto costituzionale della Repubblica napoletana, il problema del controllo di costituzionalità delle leggi era già stato da tempo affrontato e risolto soltanto nei neo-Stati Uniti d’America, ove, sebbene la Costituzione ratificata nel 1787 nulla specificasse al riguardo, sulla base di quanto illustrato negli articoli del Federalist, scritti fra il 1787 e il 1788,  di tale rilevante funzione era stata investita la Corte Suprema.
Ma anche Francia rivoluzionaria, benché sempre senza successo, era stata avanzata in più di un’occasione l’ipotesi d’introdurre degli istituti preposti al controllo di costituzionalità: tra i progetti più rilevanti in tal senso è il caso di ricordare quello presentato alla Convenzione, nel febbraio del 1793, dal Rouzet, il quale prevedeva la creazione di organo collegiale di 85 membri preposto al controllo della costituzionalità delle leggi da effettuarsi prima ancora della loro approvazione da parte dell’Assemblea.
Ai membri di tale organo, il Rouzet, molto prima che il Pagano redigesse il suo progetto, dava il nome di efori. Ben più articolato e complesso era il progetto presentato, due anni più tardi, dall’abate Sieyès, il quale prevedeva l’introduzione di un “jury constitutionnaire” (denominato altrove anche “tribunal” des droits de l’homme”) incaricato di una triplice funzione: vegliare sulla salvaguardia del  dettato costituzionale; proporre dei perfezionamenti della Costituzione ed esercitare un controllo sulle sentenze della giurisdizione ordinaria sulla base del diritto naturale.
Conseguenza del giudizio dinanzi al “jury” era che gli atti incostituzionale sarebbero stati dichiarati “nlus et comme non avenus”.  
Benchè apprezzato da molti, il progetto del Sieyès venne respinto.
Pur non potendosi escludere a priori l’influenza del dibattito costituzionale francese e americano sul pensiero del Pagano in tema di controllo di costituzionalità delle leggi, è interessante però notare come già nel 1783( dunque ben prima delle proposte francesi e della soluzione americana ), scrivendo la prima versione dei Saggi politici, egli avesse chiaramente indicato in un organo chiamato Eforato la funzione di “bilancia dei poteri” al fine di evitare tanto gli abusi del potere legislativo, quanto dell’esecutivo.
Così, difatti, scriveva il giurista nel quinto saggio, riflettendo sui casi in cui le norme poste in essere dai poteri dello Stato potessero ledere i diritti e le libertà dei cittadini: “ quando limitino le operazioni dei cittadini oltre di ciò che la pubblica conversazione richiede, quando delle azioni indifferenti faccino delitti, quando la legge in favor di una parte dei cittadini restringa i diritti dell’altra se poi ella trascuri oppure i necessari ostacoli alla violenza privata, se non pensi a render sicuri i cittadini, se, per difetto di buon ordine, gli esecutori delle leggi, abusando della pubblicità autorità impunemente opprimano il cittadino, indirettamente allor la legge favorisce la servitù civile”.
Più esaustivo nel delineare le finalità del corpo degli efori è il giurista nel rapporto, ove si legge: “Se il potere esecutivo sia troppo dipendente dal corpo legislativo, come lo era nella costituzione francese del 1793, in tal caso l’assemblea assorbirà il potere esecutivo, e concentrandosi in essa i poteri tutti ella diverrà dispotica.
Se poi sia indipendente l’uno dall’altro potranno sorgere due disordini, e l’inazione ed il languore della macchina politica per la poca intelligenza dei due corpi che rivaleggiano tra loro, ovvero l’usurpazione dell’uno sull’altro per quella naturale tendenza di ogni potere all’ingrandimento.
Ecco la necessità di un altro corpo di rappresentanti del popolo che sia come un tribunale supremo il quale tenga in mano la bilancia dei poteri e li rinchiuda nei loro confini: che abbi insomma la custodia della costituzione e della libertà”.
Al fine di svolgere equamente tale funzione di “bilancia dei poteri” è pertanto indisponibile che la carica di membro dell’Eforato sia incompatibile con qualsiasi altra funzione pubblica (art.354) e che gli efori non possono in alcun modo, neanche per mezzo di delegati, esercitare il potere legislativo, esecutivo e giudiziario (art.351).
Tale le massime preoccupazione del Pagano, difatti, vi era quella che l’Eforato, nato per prevenire le usurpazioni del potere e le violazioni dei diritti dei cittadini potesse esso stesso trasformazioni in un organo dispotico. Per tale ragione, peraltro, egli dispose che l’Eforato si sarebbe riunito solo giorni ogni anno (art.362).
Sebbene il generale francese Championnet, in un suo proclama ai napoletani, avesse solennemente affermato che la Costituzione della Repubblica napoletana sarebbe entrata in vigore il 21 marzo (1°germinale), in data 1° giugno - secondo quanto si poteva leggere sulle pagine del “Monitore”, il progetto del Pagano continuava ancora ad essere oggetto di “varie metafisiche riflessioni” da parte della Commissioni legislativa.  
Esso, pertanto, finì per essere travolto dai tragici eventi che portarono al crollo della Repubblica ed alla restaurazione della monarchia borbonica, la quale, nella violenta reazione che ne seguì, nessuna pietà ebbe per il suo autore, impicccato a Napoli, in Piazza Mercato, il 29 ottobre del 1799.
Benchè mai entrano in vigore, il progetto costituzionale del Pagano quasi una sorta di testamento che i patrioti napoletani lasciarono alle generazioni successive, ben lontano dal costituire una mera riproposizione del modello francese, rappresentò forse la massima opera del Pagano, nella quale confluirono, assumendo forma concreta, idee e concezioni che egli aveva a lungo meditate nei suoi procedenti lavori di teoria politica e giuridica.

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