Il 28 ottobre 1860 Antonio Scialoja, nativo di San Giovanni a Teduccio, che era stato nel governo provvisorio di Giuseppe Garibaldi, aveva scritto al conte Cavour, denunciando il discredito di cui si era reso responsabile il governo di Garibald dato che certi ministri si erano circondati di "quei capi-popoli canaglia, che qui diconsi camorristi".
Il testo I prigionieri dei Savoia di Alessandro Barbero dedica un intero capitolo, alla presenza della camorra nell’esercito borbonico che preoccupava i nuovi governanti italiani per una possibile penetrazione nelle carceri e nello stesso esercito italiano.
“L’annessione delle province meridionali nel 1860 - scrive Alessandro Barbero - rappresentò un momento decisivo per la presa di coscienza, a livello nazionale dell’esistenza della camorra”.
L’autore cita lo studio di Marcella Marmo per evidenziare come l’opinione pubblica del Nord venne a conoscenza di una “ realtà ignorata”.
In particolare i rapporti dedicati alla questione erano incentrati sulla presenza della camorra nelle carceri e nelle esercito borbonico su cui l’abruzzese Silvio Spaventa, esponente della Destra Storica aveva redatto, su richiesta dello stesso Cavour tramite Costantino Nigra, un dettagliato rapporto che il 20 maggio 1861 era così compendiato:
“Nelle carceri, nell’esercito, nelle amministrazioni, in tutti i luoghi pubblici esercitata largamente la camorra”.
Silvio Spaventa era un liberale meridionale il cui impegno si era rivelato molto attivo nei moti napoletani del 1848, per cui l’anno seguente fu arrestato e rinchiuso nelle carceri di S. Francesco e della Vicaria per poi essere condannato all’ergastolo e inviato a Santo Stefano insieme a Settembrini.
Solo dieci anni dopo il suo ergastolo fu mutato in esilio a Torino, che aveva lasciato per ritornare a Napoli dopo l’arrivo di Giuseppe Garibaldi.
Egli farà parte di quegli intellettuali, che, allontanati dal Meridione, lottarono per l’unificazione italiana e per il liberalismo e per la costituzione parlamentare.
La relazione di Spaventa evidenzia che la primaria attività estorsiva è il pizzo sul gioco e che il luogo ove la camorra ha “la sua sede principale è nei luoghi di custodia e di pena”.
Il rapporto completo di Silvio Spaventa si può ritrovare nel testo di Marcella Marmo Il coltello e il mercato alle pagg. 31-57.
Riguardo alla presenza della camorra nell’esercito borbonico Marc Monnier, in uno studio del 1862, conferma che “ l’armata tosto si corruppe, la camorra vi si stabilì, e presto passò nella marina".
Francesco Barbagallo nel suo saggio Storia della camorra fa risalire la diffusione della camorra nell’esercito borbonico al “secondo quarto dell’ottocento”.
Dopo aver analizzato le possibili origini dell’etimologia del termine, lo storico Barbagallo scrive a pag. 6 di Storia della Camorra.
"La camorra, come attività ed organizzazione distinta dalla criminalità comune, si diffuse nella città di Napoli, e in particolare nelle carceri e nell’esercito, dove spesso erano arruolati i criminali detenuti, presumibilmente nel secondo quarto dell’Ottocento".
Dunque la preoccupazione che, tramite gli ex soldati borbonici , la camorra potesse attecchire nell’esercito italiano fu molto sentita dall’opinione pubblica, data il risalto che la stampa ne dava.
Già il 23 agosto 1861 un articolo in prima pagina della Gazzetta del Popolo riportava:
"E’ noto che la camorra esisteva su vasta scala nell’esercito borbonico, e contribuiva potentemente ad accrescerne la demoralizzazione", riportando successivamente di "un ospedale militare dove una dozzina di soldati e bass’uffiziali napoletani erano già riusciti a stabilire un principio di camorra, ed anche alcuni de’ nostri settentrionali s’erano lasciati imporre per modo, che se talvolta giuocavano, chi guadagnava pagava il tributo al camorrista precisamente come a Napoli!"
Marc Monnier, nel suo studio del 1862, elenca una serie di provvedimenti, punizioni, per contrastare tale minaccia.
Il 12 marzo 1863, un Regio Decreto, introduceva norme anticamorra, come riporta il Giornale Militare del 1863, che facevano seguito a tale iniziale constatazione della relazione ministeriale:
“Una delle piaghe sociali nelle Province meridionali che in questi ultimi tempi maggiormente preoccupa l’opinione pubblica dell’universale e fermò l’attenzione del Governo, fu senza dubbio la Camorra. Questa setta, del tutto ignota nelle altre Provincie Italiane, esercitava la sua influenza e metteva anche le sue funeste radici nell’Esercito dell’ex Regno delle Due Sicilie…”
Nel prosieguo il capitolo ottavo del libro “I prigionieri dei Savoia”, da cui abbiamo primariamente attinto le informazioni del presente scritto, tratta di vari i casi di camorra nella fortezza di Fenestrelle e dei relativi processi.
Bibliografia:
Alessandro Barbero, I prigionieri dei Savoia, Laterza, 2012