Terza tappa - Il conto alla rovescia verso il conflitto inizia a Trieste il 2 luglio del 1914, con l'arrivo delle spoglie dell'Arciduca d'Austria e della moglie Sofia, uccisi nell'attentato di Sarajevo
di Paolo Rumiz
TRIESTE - Milleottocento passi. La fine del mondo si consuma in milleottocento passi. Per la precisione milleottocentoquattro, quelli che ho misurato fra il mare davanti a piazza Unità e la Stazione Centrale. Sì, questo viaggio parte da Trieste, la mattina afosa del 2 luglio del 1914, su un corteo di carri neri e cavalli neri, tra due impressionanti ali di folla, in un silenzio di piombo. È qui che sbarcano, da morti, Franz Ferdinand e sua moglie, dopol’attentatodel28giugnoa Sarajevo. Qui, fra le 7.45 e le 9.50 di quella data fatale, in anticipo di un giorno su Vienna, inizia il conto alla rovescia verso la guerra. Perché qui l’impero ha la sua prima, attonita percezione del disastro imminente.
Ecco, i feretri scendono dalla corazzata “Viribus Unitis”, ancorata in rada. Li traghettano su una maona che pare un catafalco, il mare pullula di navi da guerra, con soldati schierati sulla tolda, pennacchi di fumo nero, cannonate a salve. Pieni anche i moli, di navi da trasporto e passeggeri. Vedo l’ammiraglia dei Cosulich, “KaiserFranzJosephI”,eil“Baron Gautsch”, che di lì a pochi giorni salterà su una mina “amica” per la distrazione del comandante. Odore di carbone, pesce e spezie d’oriente. La pavimentazione delle Rive non è ancora completata, la città è tutta un cantiere, le banche scommettono su un futuro radioso. La nuova pescheria centrale è stata appena inaugurata e sul porto troneggia un’immensa gru galleggiante, “Ursus”. Ultima cosa fatta dall’impero, resisterà per un secolo. Un ciclope che ancora oggi, con bora forte, talvolta spezza le catene e semina il panico come King Kong.
Cinquantasette passi dalla banchina alla linea dei palazzi sul fronte mare, altri 150 fino alla fontana davanti al municipio. Folla immensa, rintocchi a morto, opprimente silenzio. Vado con andatura regolare, da metronomo. Chi mi conosce pensa che sono fuori, e difatti lo sono. Vedo solo quel film, e non è nemmeno difficile. Basta ignorare gli umani. La crosta dell’oggi è così miserabile che le vecchie pietre riemergono senza fatica. Anche le foto di Wulz e di Penco sono lì, nitide come i racconti della nonna. Piazza Unità, allora piazza Grande, 2 luglio 1914. Luogo e momento tremendo, avvio di una sequela di sciagure. La guerra, il fascismo, le leggi razziali proclamate in quello stesso luogo. Poi un altro conflitto inutile, le vendette slave, la guerra fredda, l’agonia del porto. È un secolo che Trieste sconta la fine del mondo di ieri.
Fa caldo, la folla si abbarbica alla fontana per vedere oltre il cordone dei marinai. Luccicano elmetti col chiodo, vibrano pennacchi sui fez dei fanti bosgnacchi irrigiditi. Maledetta Sarajevo, luogo del destino, quante volte sono andato da te per storie di guerra... Finisce la funzione sulle Rive, il vescovo Karlin benedice, si parte. Cinquantasei passi fino a Capo di Piazza, 165 fino alla statua di Carlo imperatore. Sono già passati un drappello a cavallo, due compagnie di soldati e sei carri pieni di fiori con tiro a due. Altre 265 falcate lungo il Corso fino all’incrocio con via Sant’Antonio, oggi Dante. Le case sono listate a lutto, i lampioni hanno un cappuccio nero. Balconi e finestre affollate, qualcuno mi saluta dall’alto, dico distrattamente ciao, ma la mia testa è altrove.
Oltre un mare di teste vedo convergere a sinistra i portatori delle croci, i prelati con mitria e piviale funebre, il clero delle altre confessioni, poi le due carrozze monumentali nuove di zecca della premiata ditta “Zimolo”, quattro cavalli neri ciascuna. Scalpitano, i palafrenieri sudano a tenerli al passo. Ma ecco le autorità, gli ufficiali delle varie armi, le rappresentanze, altre due compagnie e un secondo drappello di guardie a cavallo. Passo cadenzato lento, esasperante. Il corteo taglia la città in due come una mela, la testa è già arrivata in piazza della Caserma, al capolinea della funicolare, e la coda è ancora in Corso. Sento mia nonna mormorare: «Questo è il funerale di un’epoca». Sono mesi che i giornali sono pieni di guerra, e c’è chi sente i rintocchi del destino.
Sotto il palazzo giallino dei Wulz, faccio in tempo a vedere un cavallo del servizio d’ordine che ruba la paglietta a un borghese e se la mangia. Fotogrammi fin de siècle. Finisce il mondo delle riverenze, delle donne fatali con veletta su auto decapottabile, dei cavalli bianchi e degli idrovolanti con ali di seta. Arriva la morte di massa, con i reticolati e i gas. Finisce il tempo degli eroi. Ora rullano tamburi, sono 227 passi fino al Canale, la città è magnifica, pullula di vita, forse non è mai stata così ricca, i cartelloni dei teatrimaicosìpieni.Eppurec’è puzza di carogna, da Vienna arriva uno strano silenzio, si dice che il Kaiser sia ostaggio dei signori della guerra. Ancora 155 passi, e altri 245 fino alla Caserma, oggi dedicata a Oberdan, l’attentatore di Franz Josef. Sta per consumarsi il suicidio di un continente.
L’andatura diventa tempo, altri 105 passi e sono le 9.25 nella via intitolata a Karl von Ghega, che costruì la prima delle grandi ferrovie fra Trieste e il retroterra. E qui sento un improvviso effetto-risucchio, il film accelera, il flusso di eventi si imbottiglia in quell’unica strada verso la stazione, la stessa dove tra un mese, con le fanfare della Generalmarsch, partiranno triestini, dalmati e istriani verso il fronte serbo e poi quello russo, terribile, oltre i Carpazi. Trecentoquattordici, monumento a Sissi imperatrice, 170, capolinea della ferrovia meridionale. Marinai scaricano i catafalchi, li portano verso il convoglio speciale già avvolto nel vapore della locomotiva. Ore 9.50 fischio dei capostazione con feluca e spadino e partenza per Vienna via Semmering.
Ripenso ai ragazzi di Redipuglia. Sono morti per Trieste ed è da Trieste che deve iniziare questa storia. Ma qui, come in Trentino, il film inizia sotto un’altra bandiera, e non nel maggio del ’15, ma in quel mattino di luglio del ’14. Un anno in più da raccontare.
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