mercoledì 28 agosto 2013

E IL GRAPPA DIVENTÒ IL MONTE SACRO

ILVIAGGIO

Qui si combattè cima per cima fino all’ultimo giorno. Gli austriaci dovettero ribattezzare i luoghi per non deprimere i loro soldati. E il Monte Tomba si trasformò nel Monte Rosa
Il paradosso degli italiani: mentre Cadorna accusava i suoi di disfattismo, i memoriali del nemico rendono onore al coraggio degli ufficiali “mai venuti meno alla loro dignità”

La Grande guerra/21


PAOLO RUMIZ

BASSANO
Ancora freddo, pioggia, notte da coperte. Vento e neve sopra i 1800. Al mattino il Grappa è infarinato, lo vedo negli squarci di nebbia salendo per i tornanti della Strada Cadorna, percorsa da greggi e poco raccomandabili cani pastori. Sui pascoli di quota la neve portata dal vento esalta ogni minimo corrugamento, svela trincee altrimenti invisibili. Allo stesso modo, i cespugli di erica indicano i crateri delle granate, anche se il tempo li ha quasi interrati. Più che i buchi, il fiore viola delle brughiere ama la roccia frammentata. Da un secolo ha imparato a fare il nido nelle bombe. Non c’è bisogno di libri sul Grappa. La terra parla da sola.

La cima e l’ossario, come astronave nella nebbia. Non si vede nulla intorno. Niente che dica: questo è il bastione, il pilastro. «Ma nelle belle giornate — spiega il bravo Roberto Tessari pilotandomi senza Gps in un labirinto di mulattiere — puoi vedere tutto il fronte. Seicento chilometri di linea del fuoco dall’Hermada all’Adamello». In nessun altro punto hai una simile visione di sintesi. Specie d’inverno, l’affaccio sulla pianura è sconvolgente. Dopo Caporetto, fu quella vista a galvanizzare gli austriaci, ma anche a trasformare gli italiani, che per la prima volta sentirono nelle loro mani, con evidenza trigonometrica, i destini del Paese. Ecco perché la battaglia fu tremenda.

Si narra che gli austriaci dovettero ribattezzare i luoghi per non deprimere i soldati destinati a questo fronte con l’annuncio di luoghi malfamati. Posti come Salaroli, Val di Roa e monte Pertica furono cancellati dai dispacci. Il Monte Tomba divenne Monte Rosa. Gli italiani, invece, li esibivano come emblema e spauracchio. «Quassù si ingaggiò uno scontro cima per cima, fino all’ultimo giorno di guerra — racconta Tessari — uno scontro che talvolta ebbe le caratteristiche del derby». Fu quanto accadde sul Pertica, che gli Alpenjäger vollero riconquistare per un solo giorno pur avendo avuto già l’ordine di ritirata generale.

Poche settimane dopo lo sfondamento del novembre 1917, scrive Erwin Rommel, «i fucilieri da montagna ebbero di fronte nella zona del Grappa truppe italiane che si batterono benissimo e seppero, sotto ogni punto di vista, compiere il proprio dovere. Là non poterono essere conseguiti successi come quelli di Tolmino». Conferma il generale Kraft von Dellmensingen, capo di stato maggiore della 14.a Armata: «Così si arrestò, a breve distanza dal suo obiettivo, l’offensiva ricca di speranze e il Grappa divenne il Monte Sacro degli italiani, i quali, a buon diritto, possono andar fieri di averlo vittoriosamente difeso contro le migliori truppe austro-ungariche e i loro camerati tedeschi».

È strano come il valore del soldato d’Italia sia riconosciuto nei memoriali del nemico con più frequenza che nei rapporti dei suoi alti comandi. Mentre Cadorna accusava i suoi di disfattismo, il generale Svetozar Borojevic li difese dicendo che essi avevano ceduto semmai «perché avevano sentito venir meno il comando». Una bella immagine daTappe di una disfatta di Fritz Weber riguarda un gruppo di fanti fatti prigionieri durante un assalto sul Carso al Monte Hermada, che è il Grappa degli austriaci, il loro bastione imprendibile. «Laceri, sanguinanti, sporchi di terra...
piccoli di statura ma ben piantati... Gli ufficiali sono silenziosi, tristi, amareggiati... Guardano davanti a sé con un’espressione cupa. Lo spirito militare che li anima è identico al nostro. Non ho mai veduto un ufficiale italiano che sia venuto meno alla sua dignità. Erano e sono tutti avversari cavallereschi, valorosi, implacabili».

Squarcio nella nebbia, praterie di neve marcia, primule e soldanelle alpine in ritardo di due mesi sulla normale fioritura. Petali e fili spinati, rocce, fulmini ed esplosivi: un grumo inestricabile di storia e natura. Si diceva: la terra parla sul Grappa. E sul Grappa i fanti e gli alpini tennero duro perché era la terra che difendevano. Quando il battaglione Val Cismon, sfuggito alla cattura di Rommel in zona Longarone, passò per i pascoli di casa sua marciando a tappe forzate verso il Grappa, il comandante diede loro due ore di libertà per salutare le famiglie. Due ore dopo i ragazzi erano tutti pronti a ripartire. Non ne mancava nessuno.

Pioggia, vento. Terriccio talmente intriso di balistite che ne raccolgo una nera manata in dieci minuti, cercando nelle zolle umide. Avvicino un fiammifero e i frammenti bagnati prendono ancora fuoco, come se un secolo fosse ieri. Il Grappa è impregnato di guerra, ne è infettato come il corpo di un lebbroso. Sono questi i segni forti, assai più della pazzesca rete stradale militare che lo imbriglia, delle teleferiche, delle gallerie e degli acquedotti. Un anno fa un escursionista vide un elmetto sporgere dall’erba e, dissotterrandolo, tirò fuori anche la calotta cranica ancora agganciata al sottogola. Quassù i recuperanti si sparerebbero per un pezzo raro. Quelli di Vicenza e quelli di Treviso devono stare attenti a non sconfinare, o son botte da orbi.

Il fatto è che quassù la guerra non è finita, perché non si è ancora ben capito di chi è la montagna. Tessari mi racconta di una tempesta di simboli e di interessi in competizione per la supremazia sulla cima. Il Grappa è dei soldati che vi sono sepolti? È il luogo dei partigiani che quassù ebbero le loro tane? È il monte dello stato laico e della borghesia legata alla memoria delRisorgimento,di cui il rifugio Bassano è l’emblema? O è piuttosto il bastione dell’anticomunismo sovietico annidato nei bunker della Nato, il padre nobile della contestata doppia base americana di Vicenza?Oppure è l’altare del nazionalismo italiano dove i fascisti vollero piantare la statua della dea Roma?

Ricomincia a piovere, armate nere spremono lampi e cannonate sopra la Valsugana. Che cos’è questa montagna senza pace: la casa della Madonnina colpita dalle bombe e poi dichiarata “prima mutilata d’Italia”? O più banalmente il simbolo di un Veneto pievanesco e baciapile, la colonia estiva della diocesi più potente d’Italia? Certamente quassù vi è qualcosa che va molto oltre la Grande guerra. Il segno di una sacralità millenaria. Luogo di fulmini, sacrifici e anime vaganti.

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Sul sito diRepubblica,le immagini tratte dal videoreportage di Paolo Rumiz realizzato con il regista Alessandro Scillitani

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