venerdì 10 dicembre 2010

Non si può accusare Mazzini, se il Paese oggi smarrisce l’identità

POLEMICHE

I nostri attuali problemi possono dipendere 

dal non saper custodire e sviluppare radici e tradizioni

Il povero Mazzini fu, come si sa, alquanto sfortunato. L’idea dell’unità italiana, che portava impresso un indelebile marchio di origine da lui, contro ogni previsione si realizzò, ma fu gestita da altri, ed egli morì clandestino e ricercato nell’Italia unita, che aveva sognato a lungo da solo. Le sue idee politiche e sociali furono da socialisti, comunisti, liberali derise come irrealistiche nell’ormai consolidato mondo industriale. L’idea di nazione, altro punto fermo e forte del suo pensiero, e da lui concepita in organica connessione con quella di fratellanza dei popoli e di loro associazione a livello planetario, fu ritenuta il punto di partenza del nazionalismo posteriore e delle sue degenerazioni imperialistiche. La sua azione politica, costretta dai tempi alla clandestinità e ad azioni anche violente, fu qualificata come terroristica (e perciò Craxi gli affiancava Arafat e il terrorismo palestinese, e ora si è visto, per noi a torto, un terrorista anche nel Mazzini del film di Martone, Noi credevamo). La sua idea che i popoli di loro iniziativa potessero e dovessero rivendicare, anche con le armi, indipendenza e libertà, senza attendere concessioni altrui o dall’alto, fu vista come spinta a un movimentismo irresponsabile e inconcludente e causa di inutili spargimenti di sangue. 
Da questa cattiva fama fu, inoltre, offuscato il suo senso di concretezza politica, evidente nel governo della Repubblica romana nel 1849 e nel suo prudente dissuadere da tentativi avventati (Gallenga, fratelli Bandiera, Pisacane, Orsini), anche quando poi finì col favorirli. Il suo primo e maggiore errore di valutazione in materia, ossia l’infelice spedizione in Savoia nel 1834, rimase così, quasi un irredento peccato originale, a caratterizzarne l’azione e le idee.
Un destino, insomma, non tanto da genio incompreso quanto da spirito avventuroso, un po’ fanatico e un po’ scriteriato; un po’ ostinato, e di corte vedute rispetto alla realtà, e un po’ frettoloso e velleitario nella sua febbre di azione; un po’ predicatore, quasi da esercito della salvezza, di austerità e di doveri, e un po’ ambizioso ed esclusivista nel suo assiomatico protagonismo; un po’ orditore instancabile di trame, congiure e rivolte, e un po’ solito a dirigere da lontano, assorto nelle sue idee, il frenetico moto che fomentava.
Eppure, nonostante tutto, l’immagine di lui nei tratti, consacrati sin dall’inizio, di apostolo della libertà dei popoli e di una civiltà dei doveri dell’uomo, oltre che dell’unità nazionale italiana, ha resistito. Le critiche e le negazioni, tanto accentuate nel frequente e tanto spesso troppo facile revisionismo antirisorgimentale e antiunitario dell’Italia di oggi, non sono riuscite a deteriorare in misura determinante quell’immagine, trasmessa da una lunga tradizione anche extra-europea. Ancora vive l’apprezzamento di Mazzini quale «apostolo» delle idee di libertà e di democrazia, fautore di un alto impegno etico-politico nella vita civile, all’insegna del suo motto di unità di azione e di pensiero, e promotore instancabile dei diritti dei popoli e delle nazioni (Luigi Compagna ha intitolato Theodor Herzl. Il Mazzini d’Israele, la biografia del padre del sionismo che ha scritto per l’editore Rubbettino, pp. 250, € 15).
Che cosa concluderne? Soprattutto un’ulteriore sollecitazione a fare ancora più conto della dimensione tutt’altro che solo nazionale di Mazzini. Qualcosa, invece, per noi, sì. Ogni generazione, si sa, riscrive la storia secondo le proprie esigenze e tendenze. Quando, però, la riscrittura porta a tagliare o a negare radici e sviluppi che sono parte non solo organica, ma, ancor più, fondante di un’identità e di una tradizione, il problema non è più di valutazione del passato. Gli italiani parlarono sempre, anche nel Risorgimento, dei problemi del loro Paese e della loro gente con la massima disparità di vedute e di giudizi. Ma che sorgesse un problema dell’identità italiana, come accade da un po’ di tempo, sarebbe sembrato inverosimile. Rivedere e, al caso, anche negare è legittimo, ma non attribuendone le ragioni agli italiani di ieri e alle loro più o meno presunte malefatte risorgimentali e unitarie. Questo problema è nostro. È bene che se ne parli fino a ogni possibile conseguenza, ma sapendo pure che i nostri attuali problemi possono dipendere anche, e magari molto, proprio dal non saper custodire e sviluppare radici e tradizioni, che di questi problemi è sciocco, dannoso e infecondo fare il capro espiatorio.
Giuseppe Galasso
10 dicembre 2010
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