di Marco Vigna
Il regno delle Due Sicilie era caratterizzato da un duplice marcato squilibrio, insieme sociale e territoriale: 1) la stragrande maggioranza delle terre era di proprietà di latifondisti, per cui esistevano pochi ricchissimi ed una massa sterminata di braccianti e mezzadri poverissimi; 2) Napoli e la sua immediata conurbazione concentravano in sé il grosso delle risorse disponibili.
Scrisse lo storico napoletano (nativo di Pozzuoli) Giuseppe Galasso, massimo esperto della storia del regno di Napoli:
«Accentramento burocratico e giudiziario, concentrazione residenziale della nobiltà e della migliore borghesia, monopolio degli studi universitari, sicurezza annonaria, prezzo politico del pane, esenzioni fiscali e giurisdizionali, possesso dell’unico grande porto del paese, convergenza del grande commercio e del commercio con l’estero, concentrazione di direzione di istituti religiosi e ancora altri fattori…» [G. Galasso, Napoli, Roma-Bari, Laterza, 1987, p. XII. ]
Due dati di ordine quantitativo possono rendere ragione del divario e della sua genesi dovuta alle politiche governative: la distribuzione del circolante; il residuo fiscale ossia la differenza fra quanto lo stato estraeva da una regione tramite il fisco e quanto spendeva in essa.
Si è calcolato che nel 1833 nella parte continentale del regno, dunque esclusa la Sicilia, vi fosse una circolazione monetaria di 20 milioni di ducati circa. Fra questi, 14 milioni di ducati si trovavano concentrati a Napoli, i restanti 6 milioni erano sparsi fra Abruzzo, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria, Salernitano, Irpinia, Sannio, Lazio meridionale.
Le province, in cui abitavano avevano appena il 30% del circolante. Napoli aveva invece il 70% del circolante. [G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna, Milano 1975 vol. II, pp.327-328]
Secondo l’Atlante Corografico Storico e Statistico del Regno delle Due Sicilie di Benedetto Marzollo (Reale Litografia Militare, 1832), nel 1832 il regno delle Due Sicilie nella parte continentale (esclusa quindi la Sicilia) aveva 5.727.141 abitanti, di cui 357.273 residenti a Napoli. Perciò, vi sarebbero stati 4 milioni di ducati per 5.369.868 abitanti e 16 milioni per 357.273, rispettivamente 0,7 ducati pro capite nelle province e 45 ducati pro capite a Napoli. In altri termini, il patrimonio finanziario pro capite di Napoli era 64 (sessantaquattro) volte quello delle province.
Il residuo fiscale era dicotomico fra le province e Napoli, con un flusso di denaro costante che il regime borbonico trasferì da tutto il Mezzogiorno verso la capitale. Lo stato borbonico dal 1816 al 1859 spese per la capitale 380 milioni di ducati in più di quanto aveva incassato da essa con tasse ed imposte. La differenza fu ricoperta dalle province, che per tutto questo periodo versarono allo stato tramite la leva fiscale più denaro di quanto ne tornasse indietro come spesa. (su questo si rinvia Nicola Ostuni, “Finanza ed economia nel regno delle Due Sicilie”, Napoli, Liguori, 1992, specie pp. 325 sgg.)
Le cifre sono le seguenti. Napoli ricevette dal 1816 al 1859 una spesa superiore dell’86% a quanto aveva versato. Le province invece ebbero per lo stesso periodo una spesa statale inferiore a quanto versato secondo le seguenti percentuali:
Terra di lavoro: - 32%
Abruzzo Ultra I: -68%
Abruzzo Ultra II: - 63%
Abruzzo Citra: -64%
Principato Citra: -57%
Principato Ultra: -82,19%
Molise: - 84%
Capitanata: - 76%
Terra di Bari: - 84%
Terra d’Otranto: -80%
Basilicata: - 81%
Calabria Citra: - 67%
Calabria Ultra I: -77%
Calabria Ultra II: -62%
Il Molise e la Terra di Bari furono le regioni più sfruttate, perché videro l’84% del loro prelievo fiscale dirottato su Napoli, con appena il 16% restituito come spesa pubblica. La Terra di Lavoro fu la meno sfruttata, con una differenza di “appena” il 32%. Però, con la sola eccezione proprio della Terra di Lavoro, tutte le province del Sud ebbero la maggioranza assoluta del denaro da esse pagato come tasse ed imposte inviato a Napoli.
Va aggiunta per una migliore comprensione la spesa pubblica pro capite nelle Due Sicilie sempre negli anni 1816-1859. Riportando soltanto i due estremi della forbice di spesa:
Napoli: 1100 ducati
Terra di Lavoro: 71 ducati;
Principato Citra: 55 ducati;
Calabria Ultra II: 50 ducati;
Abruzzo Ultra I: 8 ducati
Allora per ogni abitante di Napoli in media lo stato borbonico spese 1100 ducati, per la Terra di Lavora (al secondo posto in questa classifica) appena 71, mentre al fondo si trovava l’Abruzzo Ultra I con appena 8.
Il privilegio sistematico di Napoli rispetto alle province nel regno delle Due Sicilie era evidenziato anche da altri fattori, dalla concentrazione di tutte le istituzioni nella capitale alla selezione del personale politico ed amministrativo, ma i dati suddetti già lo provano. Anche la Sicilia fu assoggetta a tale pesante discriminazione a favore della capitale, tuttavia la sua condizione fu un caso a sé stante nell’ordinamento delle Due Sicilie.
Si può concludere con due osservazioni. Primo, lo sfruttamento delle province, tutte senza eccezioni, a vantaggio di Napoli fu sistematico e strutturale, facendo affluire al centro la maggioranza assoluta del prelievo fiscale del regno e provocando un divario abissale di spesa pro capite. Secondo, l’assorbimento del grosso della spesa pubblica sulla sola capitale ed a beneficio della minuscola classe dominante, essenzialmente parassitaria, fu improduttivo e danneggiò anche sul medio e lungo periodo l’intero Sud, lasciato privo degli investimenti, specie d’infrastrutture ed istruzione, di cui necessitava per una modernizzazione.
Nessun commento:
Posta un commento