di Marco Vigna
L’ultimo libro di Gigi Di Fiore, intitolato “La nazione napoletana”, è un omaggio alla galassia dei neoborbonici, di cui egli cita tutto il pantheon: i due capostipiti Carlo Alianello e Nicola Zitara, il presidente del movimento neoborbonico Gennaro De Crescenzo, l’immancabile Pino Aprile, il marittimo in pensione Antonio Ciano autore de “I Savoia e il massacro del sud”, Angelo Forgione conosciuto per il suo mescolare tifo da stadio e storia, Fiore Marro dei Comitati Due Sicilie, Nico Cimino fondatore della pagina Facebook “Briganti”, Marco Esposito ex assessore di Napoli, Vincenzo Guli del sedicente Parlamento delle Due Sicilie ecc. Nella bibliografia si trova citato anche Gilberto Oneto, leghista ed autore di “La strana unità”, pubblicata dalla casa editrice Il Cerchio.
Non vi sarebbe bisogno di aggiungere altro per far capire quale sia il tenore del testo di questo signore, comunque per dare un’idea del modus operandi di Gigi Di Fiore si può citare un solo modesto esempio. Nel suo ultimo libro egli sostiene che la fine della industria di Pietrarsa sarebbe stata dovuta allo stato italiano ed ad una sua presunta volontà di favorire industrie settentrionali: «Cominciò la graduale morte della fabbrica che anticipava decine di future dismissioni dell’industria meridionale, attraverso scelte di politica nazionale che privilegiavano altri mercati e altre collocazioni geografiche. Di pari passo, si alimento il mito dell’industria meridionale assistita, incapace di iniziative private se non sostenute da aiuti statali.» Egli propone la sua ricostruzione storica con un tono melodrammatico e dolente, tanto da terminare il capitolo con la seguente chiusura: «Il vanto dell’industria della Nazione napoletana e oggi un museo, con locomotive antiche e la statua di Ferdinando II ancora al suo posto. A futura memoria.»
Ma questo è un errore storico, poiché, nonostante ciò che scrive Luigi Di Fiore, la chiusura di Pietrarsa non è stata dovuta ad un supposto favoritismo verso le industrie settentrionali.
1) l’azienda chiuse nel 1975 (millenovecentosettantacinque), quindi 115 anni dopo che Garibaldi era giunto a Napoli. Pietrarsa aveva pertanto attraversato un periodo di oltre secolo assai denso di trasformazioni economiche, tecnologiche e di scelte politiche mutevoli, fra cui due guerre mondiali, quelle che sono definite la seconda e la terza rivoluzione industriale, la crisi finanziari del 1929, il miracolo economico italiano del dopoguerra, la fine della convertibilità del dollaro in oro.
La causa immediata della fine di Pietrarsa fu quella che viene chiamata la crisi petrolifera del 1973, che determinò per il 1974 ed il 1975 una grave recessione nell’economia mondiale con chiusura di innumerevoli aziende. Tuttavia, la ragione basilare era stata la scomparsa dell’impiego della trazione a vapore a favore di quella elettrica.
2) invece di essere scientemente “abbandonata” dallo stato italiano, Pietrarsa per un periodo di 15 anni subito dopo l’Unità visse principalmente proprio di commesse statali. Il suo fatturato dipendeva per oltre i 4/5 da lavori commissionati per le ferrovie, l’esercito o la marina. L’azienda inoltre non si autofinanziava, poiché il capitale con cui funzionava proveniva per lo più dal Banco di Napoli
L’incapacità di questa ditta di reggere il mercato era dovuto ai costi di produzione troppo elevati in confronto a quelli dei concorrenti, che erano determinati da una tecnologia superata.
Il suo vero declino però iniziò soltanto quando l’energia a vapore incominciò progressivamente ad essere abbandonata, quindi all’inizio del Novecento.
Inoltre, anche dopo il periodo della Destra storica, ossia in quello successivo della Sinistra storica, Pietrarsa poté contare sul sostegno pubblico, poiché dal 1878 essa tornò sotto diretto controllo dello stato.
[Su tutto ciò, si può consultare anzitutto A. Giuntini, “Ascesa e declino delle prime officine ferroviarie italiane. Appunti per una storia di Pietrarsa dalle origini al museo”, in “Storia economica”, anno IX, (n. 2-3), Napoli 2006.]
Il caso è facilmente riconoscibile. Per lunghi anni anche dopo il 1861 Pietrarsa rimase un’azienda che viveva grazie alle commesse statali ed ai capitali provenienti da una banca a capitale pubblico, non essendo in condizioni di resistere autonomamente alla concorrenza. Di fatto, era un’azienda che lavorava in perdita ma che era sostenuta dallo stato per ragioni di ordine politico e sociale. Già la sua fondazione sotto Ferdinando II aveva risposto ad un progetto di sviluppo basato sull’intervento dello stato, che però nel caso specifico non era riuscito a portare ad un’azienda realmente autonoma dall’aiuto pubblico. Lungi dal brigare per farla fallire, l’amministrazione italiana almeno per tutto il periodo della Destra storica proseguì nella sostanza il sostegno dato a Pietrarsa già dai governi borbonici. La definitiva chiusura dell’azienda è avvenuta soltanto nel 1975 ed ha avuto come causa il mutamento tecnologico con il passaggio delle locomotive alla trazione elettrica.
L'ipotesi di Gigi Di Fiore su Pietrarsa quale azienda condotta al fallimento per responsabilità principale dello stato italiano risulta pertanto priva di fondamento storico. Sul suo libro questo basti, sebbene di affermazioni storicamente discutibili esso “haccene più di millanta, che tutta notte canta”.
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RispondiEliminaBell'articolo, peccato che come esce dall'ambito risorgimentale si scoprono tutte le sue magagne
Marco VIgna è persona preparata e degna di stima. Altrettanto non può dirsi degli "asini neoborbonici".
EliminaMarco VIgna è persona preparata e degna di stima. Altrettanto non può dirsi degli "asini neoborbonici".
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