giovedì 22 maggio 2014

La Repubblica napoletana del 1799: società, ideali, istituzioni


La Repubblica Napoletana del 1779 ha rappresentato un momento storico variamente interpretato. La storiografia di stampo nazionalistico l’ha fortemente ridimensionata con giudizi come quello di Oriani, che addirittura la identifica con “un melodramma… recitato da una compagnia di poeti e scienziati”.
Storici di orientamento laico-democratico l’hanno invece valorizzata con posizioni diverse, alcuni apprezzandone gli ideali, ma rilevando l’esiguità dei risultati conseguiti, altri sottolineandone il contributo allo sviluppo di una nuova cultura politica, ma criticando lo scollamento dal popolo dei patrioti napoletani.
Le ricerche più recenti  hanno liberato questo periodo storico dalla incrostazioni ideologiche e lo hanno restituito a ciò che realmente fu quell’esperienza, esaltandone la portata storica.
Per molti studiosi contemporanei quell’esperienza, riprendendo la posizione di Benedetto Croce, aprì le porte al Risorgimento italiano e quindi vedono nei “patrioti napoletani, i precursori e i primi partabandiera dell’Unità d’Italia”.
Nell’ambito dei più recenti contributi storiografici, va riconosciuto all’Istituto di  Studi storici di Napoli il merito di aver  condotto una ricerca sistematica con varie pubblicazioni e con coinvolgimento di molte scuole presso le quali sono stati organizzati per un periodo convegni e conferenze, che hanno consentito ad un pubblico più ampio di venire a conoscenza di un storia, che, per ragioni varie, era stata trascurata se non in alcuni casi deliberatamente rimossa.

Dalle letture fatte mi sono convinto che  la Repubblica napoletana del 1799 è stata una grande esperienza democratica realizzata a Napoli e in tutto il meridione d’Italia, nata non soltanto da un’elite di intellettuali illuministi, ma prodotta da   una forte spinta popolare, che attraversò diversi ceti sociali, da quelli nobili  a quelli borghesi, ad esponenti di ceti contadini , artigiani ecc. Un movimento che si distinse oltretutto per la partecipazione di molti giovani.
A mio avviso fu proprio la scelta ampiamente democratica, che sarà uno dei motivi  della sua tragica fine, per approfondire il quale  ho preferito  trattare  del  contesto sociale, in  cui si colloca la Repubblica del 1799, degli  ideali che ne provocarono la nascita ,della struttura del nuovo  Stato. 
Società
Del quadro sociale del tempo molti  cercarono  di darne una lettura in termini di contrapposizione tra ceti alti e ceti bassi .Cuoco nel suo famoso “Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799” distingue infatti una città alta, ricca e benestante,  ed una città bassa, segnata dalla miseria e dal bisogno. Filangieri divide la società napoletana del tempo in nobili e masse contadine.
Per molti altri la società napoletana  e meridionale era molto più articolata al suo interno. C’è chi vede nella società napoletana del tempo l’articolarsi di una società di tipo moderna con una nobiltà differenziata al suo interno in generosa, di un ceto medio composto da intellettualità colta, ma anche da una borghesia arricchitasi con vari lavori e da un popolo danaroso, composto cioè da contadini, artigiani, una plebe nullatenente e in condizioni di miseria, dai lazzari
Queste articolazioni emergono da una Legge del 25 Gennaio del 1756, promulgata da Carlo III di Borbone e predisposta quasi certamente dal suo Ministro Bernardo Tanucci. 
In essa la società napoletana della seconda metà del ‘700 viene divisa in una ceto nobile, differenziato al suo interno  in nobiltà generosa, proprietaria di feudi ereditati nel corso dei secoli; in nobiltà di privilegio, composta da alti prelati, alti funzionari di corte, ministri e dirigenti di strutture militari; in nobiltà civile, composta da grandi commercianti ed imprenditori.
La legge poi individua  un ceto medio, composto a sua volta da un’area di cittadini professionisti, come  avvocati, giuristi, economisti, scienziati, filosofi, docenti universitari, amanti della cultura e di un vivere civile all’altezza del secolo, che era quello dei lumi e quindi di un periodo storico segnato da un processo di rinnovamento sociale, culturale, politico ed economico. Di questo ceto medio faceva però parte anche una borghesia , composta   da persone arricchitesi con lavori vari, da proprietari terrieri, unicamente interessati  ad accumulare risorse per incrementare il loro profitto.
Infine sempre secondo la legge del 1756 a Napoli e nel Meridione esisteva  un vasto ceto popolare, a sua volta diviso in popolo danaroso, composto al suo interno dalla vasta massa di contadini ed artigiani; in una  plebe nullatenente e che viveva in uno stato di miseria e precarietà, nell’esteso gruppo sociale dei  lazzari, compatti e organizzati con propri capi, interpreti di una napoletanità folclorica, festosa,
teatrale, che nei momenti del cosiddetto “serra serra” si davano ad azioni di vandalismo, di ruberie, di saccheggi. Erano i rappresentanti dei mestieri più bassi,poco o per nulla redditizi, e quindi segnati pur essi da una profonda miseria.
In questo contesto sociale sostenitori della Repubblica furono sia alcuni rappresentanti della nobiltà, soprattutto generosa, del ceto medio colto e di quello parte di popolo, che vedeva nel nuovo governo una possibilità di risolvere annosi problemi di categoria.
 Il ceto contadino soprattutto, che non era guidato da alcuna ideologia politica, ma solo dal desiderio di abolire i feudi e i loro latifondi ,su cui nel passato c’era stato un vivace dibattito, che non era approdato però mai ad alcun risultato, sostenne inizialmente il governo repubblicano.
La Repubblica aveva quindi un’ampia base di consenso, rappresentata da diversi referenti sociali, spesso portatori d’interessi e con obiettivi talvolta contrapposti, che pesarono non poco sull’azione di governo.
E’ chiaro che in una tale società emerge soprattutto questo ceto colto e raffinato, che aveva contribuito a trasformare Napoli in una delle capitali europee della cultura e che intratteneva  rapporti con la migliore intellettualità francese, inglese, tedesca:
Cirillo con Voltaire, Diderot, D’Alambert; Genovesi con Montesquieu; Filangieri con Franklin e con lo stesso Napoleone; Pagano con lo Zar di Russia, che interverrà anche a sua difesa quando sarà condannato a morte; Cimarosa  con le migliori corti europee e con la Russia; Di Fiore con Sthendhal ecc.
Questa folta schiera di intellettuali aveva reso Napoli un centro di attrazione culturale ed un crogiolo di nuove idee. Essi furono i veri sostenitori della Repubblica e fornirono ad essa le elaborazioni del loro pensiero, le loro competenze  e la loro passione politica.
I più feroci oppositori al regime repubblicano saranno invece i lazzari, che, nonostante le sollecitazioni del commissario francese Antoine Jullien di conquistare questo ceto, non fu mai possibile guadagnarlo alla causa repubblicana.
In una società così composita un ruolo determinante  ebbe la Chiesa con i suoi circa 90.000 religiosi tra sacerdoti, monaci e suore.
"Non vi è una casa a Napoli dove non si trova un prete o una monaca - sosterrà il diplomatico francese Charles Louis d’E’on-Sono consultati su tutto e decidono di ogni cosa. Sono arbitri tra mariti e mogli, fratelli, sorelle, parenti, amici e anche domestici; tutti nella famiglia dipendono da loro”.
Questa sorta di società religiosa  in parte non fu ostile alla Repubblica. Molti furono infatti  gli appelli di vescovi e di sacerdoti, a sostegno del nuovo governo.
Ci restano, tra le altre cose, catechismi repubblicani e lettere pastorali di Vescovi per la Repubblica.   In una di queste, Bernardo Della Torre, vescovo di Lettere, così si rivolge ai fedeli:
"Voi che versate i vostri sudori per coltivare le nostre campagne, rammentatevi che eravate stimati il rifiuto della società… Mentre i potenti e i ricchi godevano  dei loro agi appena vi era permesso di avvicinarvi ad essi. Ma ora la Legge che Iddio aveva scolpito nel cuore dell’uomo, che la luce evangelica aveva annunziato alla terra, è divenuta il fondamento della nostra Repubblica. Voi avete ad un tratto acquistato quella considerazione e quei diritti che l’ignoranza, l’errore e la superbia vi avevano ingiustamente rapiti. Voi chiamati fin’ora Villani siete ormai cittadini. Se le attuali circostanze della Repubblica richiedono dei sacrifici gravosi, la Libertà e l’Uguaglianza vi promettono un largo compenso”.
Ideali
Le idee che favorirono lo sviluppo del movimento rivoluzionario del 1799 erano di provenienza diversa. Lo storico Rosario Villari sostiene che gli ideali di libertà e di uguaglianza  a Napoli già c’erano e si erano formati intorno alla Repubblica napoletana del 1647 dopo la morte di Masaniello. Quell’esperienza fu molto significativa perché scaturì da un  forte movimento contro i baroni che unì contadini, borghesi e Chiesa allora rappresentata dal Cardinale Filomarino,
sostenitore delle istanze popolari e mediatore tra il popolo e la corte.
Le nuove idee furono raccolte soprattutto nei due famosi  Manifesti di  Ottobre e Dicembre del 1647 nei quali i repubblicani napoletani svolgono per la prima volta in Europa un’ analisi sulle responsabilità del vicereame, sul concetto di  Nazione, entità che appartiene  non solo ai nobili, ma  anche al popolo, e sulle colpe dei baroni nel turbare la quiete pubblica. 
Questi manifesti fecero il giro dell’Europa e attirarono l’attenzione  dello stesso Cromwell, che si accingeva a guidare un movimento simile contro Carlo I d’Inghilterra.
Il sanfedismo nel 1799 sarà responsabile della rottura di questa unità e del distacco dei  ceti contadini dalla battaglia risorgimentale e dalla successiva vita repubblicana.
Gramsci sottolineerà come la perdita delle masse contadine alla causa repubblicana sarà  una delle ragioni dell’incompiutezza del nostro Risorgimento prima e della conseguente esperienza dello Stato unitario dopo.
Un’altra sorgente di produzione delle nuove idee  liberali fu la Francia rivoluzionaria. Esse  giunsero in Italia e a Napoli  soprattutto attraverso l’esperienza dell’esilio di molti patrioti napoletani e meridionali i quali , dopo la repressione borbonica del 1794, si recarono  a Marsiglia, a Tolosa, a Lione, dove vennero in contatto con associazioni, società, con il clima culturale, che si era creato dopo la Rivoluzione francese. Singolare fu l’esperienza dell’esilio fatta, come sostiene AnnaMaria Rao, da diversi patrioti napoletani, come Lauberg, Letizia, Abamonti,  Michele De Tommaso, Salfi, Galdi, nella piccola repubblica di Oneglia,presieduta da Filippo Buonarroti, inviato dalla Francia a governare quella prima repubblica napoleonica in Italia.
Quando Benedetto Croce collegherà l’origine del Risorgimento alle idee della Repubblica di ’99 penserà soprattutto a questi patrioti che erano animati da una tensione unitaria  e coltivarono per primi il sogno di un’Italia libera e indipendente. Di fronte alla crisi che colpì le repubbliche napoleoniche furono soprattutto i patrioti napoletani a chiedere alla Francia di raccogliere tutte le energie in un’unica battaglia nazionale per l’indipendenza dell’Italia, richiesta che non troverà ascolto da parte  francese.
Un’altra fonte di produzione delle idee repubblicane fu il dibattito che si aprì tra gli intellettuali del tempo e dei periodi seguenti.
Autorevole fu  la posizione di Alessandro Manzoni che nel suo “Saggio comparativo tra la Rivoluzione francese e la rivoluzione napoletana” sostenne  che gli ideali liberaldemocratici scaturirono dal movimento riformatore del ‘700 e dal dispotismo illuminato. In questa posizione c’è un fondo di verità perché soprattutto a Napoli c’era stato il governo di  Carlo III, sovrano illuminato, che con l’aiuto di intellettuali come Filangieri, Genovesi, Galiani ecc. aveva promosso una serie di riforme.
A me interessa però soprattutto sottolineare il significativo contributo per lo sviluppo delle nuove idee dato dagli intellettuali napoletani. Essi erano tutti imbevuti di idee illuministe. Va ricordato che tra le opere fatte pubblicate dal governo provvisorio a Napoli vi furono anche quelle di Montesquieu , di Rousseau , di Voltaire, i padri cioè dell’illuminismo europeo.
A Napoli però la filosofia dei lumi finisce di essere solo un’occupazione mentale e diventa un’attività applicabile  ai problemi dell’economia, della società, della legislazione, della cultura e soprattutto uno stimolo all’impegno civile.
Tra i  maggiori, Antonio Genovesi, Giuseppe Maria Galanti e  Gaetano Filangieri seppero legare le  visioni teoriche alla società. “Perché è vero che la società è animata dal pensiero dei filosofi, ma la grandezza di una società - osserva  Genovesi - è sostenuta ed alimentata dall’agricoltore, dal pastore, dal filatore , dal tessitore, dal mercante, dall’arti in somma, che  non fioriscono dove non si lasci libertà agli artisti. Quell’opprimere lo spirito dei contadini, dei pastori, degli artisti, perché muoiono senza aver mai saputo di essere cittadini, significa indebolire i fondamenti della grandezza” dello Stato. E ancora per Filangieri  la società potrà essere trasformata solo da una nuova legislazione in uno stato, come quello napoletano, dove la società è proprio soffocata da un impianto legislativo, che immobilizza la vita economica, sociale e politica  e non favorisce alcun cambiamento.”La vita degli uomini - dirà Filangieri - merita maggiore rispetto; ci è un altro mezzo, indipendente dalla forza e dalle armi, per giungere alla  grandezza; le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale… Merito di questa trasformazione va agli intellettuali, la cui filosofia da mezzo secolo si affatica per richiamare le mire dei principi a questi utili oggetti”.
La società europea appare al Filangieri profondamente mutata. “Il popolo non è più schiavo, ed i nobili non ne sono più i tiranni” ma  “il regno di Napoli si distingue per involuzione ed arretratezza economica e politica”. La filosofia dei lumi deve servire a dare alla società  un’anima civile: “Per formare lo spirito pubblico - dirà Giuseppe Maria Galanti, allievo di Genovesi – occorrono tre mezzi: il primo è la libertà civile dei popoli… che deve però dipendere dall’osservanza delle leggi; il secondo mezzo è di perfezionare l’educazione in tutte le classi della nazione, e dirigerla agli abiti ed ai sentimenti utili allo Stato; il terzo e ultimo mezzo si riduce alla particolare educazione dei magistrati, per ottenere l’esatta amministrazione della giustizia”.
Tutto questo dibattito a cui bisognerebbe aggiungere altri nomi, come quello
di Palmieri (come creare un ceto di proprietari terrieri borghesi, per  un vero sviluppo capitalistico dell’economia),di Broggia (sulla difesa degli strati più poveri), di Domenico De Gennaro (con gli studi sull’economia del grano), di Grimaldi (con le ricerche sull’oleario). Sarebbe anche molto interessante approfondire le ricerche sullo sviluppo del settore serico,che favoriranno la nascita di un’industria nel meridione, i cui prodotti si faranno spazio  in mercati europei e mondiali e il cui tracollo, dopo l’Unità d’Italia, sarà una delle cause dell’impoverimento del Meridione.
Queste posizioni si trascineranno  dietro anche la stessa letteratura che abbandonerà le visioni idilliche ed  incomincerà a misurarsi coi problemi della società e dello Stato.
In molti  scrittori infatti s’incominceranno a legare gli  interessi letterari agli interessi politici.
Cuoco, ad esempio, non scrive solo  il famoso Saggio,ma anche  il romanzo Platone in Italia, in cui Cleobolo, allievo di Platone, visita la Magna Grecia ed esalta la civiltà
italica precedente a quella ellenica distintasi per le sue istituzioni civili, per lo sviluppo scientifico  ed  artistico. Per cui c’è stata già una nazione italiana, come quella etrusca o sannita; ad essa bisogna rifarsi per costruire il nuovo Stato unitario e indipendente. A queste idee s’ispirerà poi lo stesso Gioberti per scrivere  il suo famoso libro “Del primato morale e civile degli Italiani” .
Anche Vincenzo Monti , richiamandosi al romanzo di Cuoco, scriverà l’opera” I
Pittagorici”, musicata da Paisiello e rappresentata  al S. Carlo, in cui ricorda il buon governo dei seguaci di Pitagora, venuti  nel VI-V secolo a.c.nel Meridione d’Italia, cacciati e trucidati dai tiranni. Con i pitagorici   identifica i patrioti napoletani del 1799 perché colpiti dalla stessa sorte.
Sull’onda di questi ideali a Napoli e nel Sud  si costituirono Società, Associazioni,
Comitati, Circoli, sale d’istruzione attraverso cui i rappresentanti della Repubblica comunicavano coi cittadini.
Perciò l’idea che il governo della Repubblica napoletana del 1799 fosse separato dal popolo mi sembra del tutto fuorviante. Anzi appare una strumentalizzazione della posizione di Cuoco, che non ha mai sostenuto che questa classe di governo vivesse in solitudine tale esperienza.
Ci sono pervenuti proclami che parlano di pubbliche assemblee, di riunioni di governo aperte alla partecipazione popolare e agli interventi dal pubblico tanto che in una di esse tenuta  a porte aperte e, di fronte ai tumulti provocati dai presenti, la decisione del presidente Albanese di continuare la riunione a porte chiuse fu contestata dalla stessa Pimentel sulle colonne del Monitore, con l’invito a comunicare coi cittadini e magari ad impiegare la forza pubblica per sedare le agitazioni,proposta che sarà poi accolta.
Durante la Repubblica napoletana il popolo  interveniva con riunioni   nelle cosiddette sale d’istruzione. Spesso  lo stesso governo convocava i cittadini per consultarli su alcune proposte di legge, come ad esempio quello sui banchi, sui feudi, sui fedecommessi.
I rappresentanti del Governo provvisorio  ricevevano il  pubblico tutte le mattine. I comitati si riunivano ogni giorno ed erano aperti alla partecipazione dei cittadini.
Dai documenti in possesso della Biblioteca nazionale di Napoli e dell’Archivio storico si ricava che funzionarono le Sale  d’Istruzione, a cui fu assegnato  un responsabile nella figura di Vincenzo Russo. In queste sale veniva riunito il popolo, al quale si presentavano proposte di legge o si illustravano leggi già approvate.
Risulta inoltre che a Napoli e in tutto il Meridione operarono Società patriottiche, nelle quali si svolgevano assemblee popolari su diversi problemi.
E poi  le rappresentanze ufficiali, tra membri del governo centrale, dei dipartimenti, delle municipalità, delle varie commissioni  ammontavano ad un numero di circa 40000 componenti.
L’esperienza repubblicana,pur essendo stata breve, creò quindi una rete  di organismi democratici; la sua  eccessiva articolazione ed estensione però provocò non pochi problemi alla funzionalità del governo.
Ci tengo a sottolineare questa specificità degli illuministi napoletani, di essere stati i diffusori delle prime visioni democratiche; dalle loro elaborazioni scaturirono idee sull’organizzazione dei vari settori produttivi o della vita sociale, ma anche contributi   su quelli, che poi diverranno i principi sacri  degli Stati moderni, come la libertà di tutti, l’uguaglianza come strumento di giustizia sociale e di lotta ai soprusi, la laicità dello stato e della cultura, il sistema giudiziario pubblico, tutore della legalità e del rispetto delle leggi, il riformismo sociale. L’Europa intera ci invidiò queste risorse intellettuali. 
La struttura dello Stato repubblicano
Se gli ideali furono originali e decisivi per aprire la fase di costruzione dello Stato unitario, la gestione incontrò non poche difficoltà fin dal primo momento prima coi francesi, poi all’interno della compagine governativa stessa.
Con la fuga del Re e della sua corte a Palermo, il Regno di Napoli fu lasciato nella più completa anarchia. La decisione di  un gruppo di cittadini di dare vita ad un governo a Napoli e al Sud d’Italia è perciò legittima sia sul piano politico sia su quello giuridico. Il governo provvisorio fu proclamato per colmare questo vuoto di potere, di cui approfittarono soprattutto i lazzari per procedere ad azioni di saccheggio e ad atti di  violenze. Per riportare la calma nella città ci fu poi l’intervento militare del  generale francese Championnet e  del Cardinale di Napoli, che organizzò una processione nella quale portò in giro per la città l’ampolla contenente il sangue  di S.Gennaro.
La nascita del nuovo Stato non fu serena. Fu  tormentata innanzitutto  dallo scontro con il Direttorio francese.
Dalla Francia il ministro degli esteri inviò istruzioni al  neo ambasciatore a Napoli Lacombe-Saint Michel, invitandolo a creare una sola Repubblica, libera e indipendente, ma con un rappresentante nazionale e un Direttorio esecutivo.
Il ministro delle finanze francese C. Faypoult, provvide subito a sequestrare  i beni privati  del re e della sua famiglia, i  banchi, i musei, gli scavi di Pompei, provocando la violenta reazione di Championnet,  che con una sua lettera accusò Faypoult di prepotenza.
Lo stesso Championnet da parte sua prima disse  ai napoletani che “l’estensione dei poteri, che la legge vi affida è enorme” e poi deliberò che  ogni atto del governo per divenire esecutivo sarebbe dovuto essere approvato dal generale in capo, cioè da lui stesso.
Ci volle l’opera di mediazione del commissario inviato dalla Francia Antoine Jullien, per  ricomporre i contrasti e giungere  alla Nascita della Repubblica con il  Progetto di decretazione presentato ai patrioti napoletani da Giuseppe de Logoteta il  22 Gennaio 1799 nella Piazza del Castello di S.Erasmo.
Per l’occasione fu issata la nuova bandiera di colore rosso,giallo e blu e fu suonato il nuovo inno repubblicano musicato da Domenico  Cimarosa.
Il giorno successivo, il  23 Gennaio 1799, Championnet emanò  il decreto di costituzione del governo provvisorio. Sul modello francese il governo fu organizzato in comitati, con la differenza che nella Francia rivoluzionaria erano stati istituiti appena due comitati, nella Repubblica napoletana furono istituiti 6 comitati (Centrale, Dell’Interno,di finanze, di legislazione, di polizia generale, Militare), per un totale di 25 membri, che componevano a loro volta una commissione di legislazione, una sorta di Parlamento, che deliberava in materia legislativa.
Furono nominati 4 ministri: Finanze, Giustizia e polizia, Interno, Guerra e Marina.
Questi organi a loro volta furono affiancati da una molteplicità di commissioni per un totale generale di circa 60  organismi.
Presidente della Repubblica fu nominato Carlo Lauberg, originario di Teano;
segretario il francese Antoine Jullien; generale in capo, com’era scontato, Jean Antoine Étienne Vachier detto Championnet.
Tutto il territorio della Repubblica  fu diviso in 11 Dipartimenti dal francese  Bassal con un decreto, che sarà contestato un po’da tutti tanto che il 25 Aprile il nuovo commissario inviato dalla Francia Abrial dovette   revocarlo e  riportare i Dipartimenti allo stesso numero delle antiche province con l’aggiunta del Dipartimento di Napoli.
Per il governo delle municipalità il presidente Lauberg, impartì delle istruzioni che prevedevano un presidente, un segretario, sette membri, quindici nelle comunità superiori ai diecimila abitanti.
Anche in questo caso però di fronte ad episodi di anarchia si dovette disporre che restassero in carica fino a nuove decisioni “tutti gli agenti ed impiegati e autorità dell’antico governo… tranne i sindaci laddove erano già stati sostituiti nella municipalità”.
La vita dei comitati e di tutti gli organismi del governo repubblicano non fu facile. Fu condizionata dallo scontro con il Direttorio francese. E’ notorio l’episodio relativo al rifiuto di ricevere da parte  del Direttorio di una deputazione della Repubblica napoletana , dopo che si era recata a Parigi, a seguito della concessione dell’incontro.
La vita interna agli stessi organismi fu agitata da varie polemiche e conflitti di potere.
Ci furono molte sostituzioni di membri.
Il Presidente Lauberg sarà sostituito da  Abamonti e il segretario Jullien da Salfi dal 18 Marzo.
Furono sostituiti diversi membri all’interno dei comitati e delle commissioni. In qualche comitato il presidente sarà nominato con notevole ritardo, nei Dipartimenti i commissari organizzatori furono nominati soltanto a Maggio, quando l’esercito della santa fede era già alle porte di Napoli.
Ci furono diverse sostituzioni di ministri. Alle finanze furono cambiati ben tre ministri; negli altri ministeri ci saranno almeno due sostituzioni.
Ad Aprile ci sarà una vera e propria crisi di governo con molte sostituzioni e con la costituzione di due commissioni,una legislativa di 25 membri e l’altra esecutiva di 5 membri, nate per separare la funzione legislativa da quella di governo, confusione che aveva costituito un’anomalia nella precedente compagine governativa.
Il generale Championnet sarà richiamato in Francia e sostituito da Macdonald. Quest’ultimo abbandonerà Napoli con il suo esercito per difendere il Nord Italia dall’attacco degli austro - russi e quindi a Napoli furono lasciate guarnigioni di soldati del tutto insufficienti alla difesa della Repubblica.
Parecchi furono gli atti compiuti dal Governo provvisorio, ma alla loro approvazione o talvolta alla non approvazione, si arrivò  dopo lunghe ed interminabili discussioni, lunghi scontri di posizioni, che in non pochi casi modificavano il deliberato, a volte in senso peggiorativo.
Così ad esempio avvenne per l’abolizione dei fedecommessi, uno strumento attraverso il quale l’eredità veniva assegnata  ad un unico erede,il primogenito.
Genovesi li aveva definiti “rovina delle famiglie”; Filangieri aggiunse“ le primogeniture, che  diminuiscono all’infinito il numero dei proprietari, sono oggi la rovina della popolazione”.
La Legge fu contestata da Pagano perché senza il parere del comitato di legislazione. Ciò comportò la riapertura della discussione, che si chiuderà solo dopo aver raggiunto un compromesso tra le posizioni dei  radicali e quelle dei moderati.
Ancora più travagliato sarà l’iter della Legge per l’abolizione dei feudi.
La questione era stata già sollevata da Antonio Genovesi per il quale “La causa più grave dell’arretratezza e della miseria sta nella cattiva distribuzione della proprietà”; da Gaetano Filangieri, che  nella Scienza della Legislazione,aveva affermato : “Le cause della miseria sono le ricchezze esorbitanti ed inalienabili degli ecclesiastici, il numero infinitamente piccolo dei proprietari rispetto ai non proprietari, ai braccianti, ….e perciò condannati  alla più spaventevole miseria”.
Le masse contadine si aspettavano subito una legge. Ci fu però una lunga discussione con diverse posizioni, come quella di abolire tutti i privilegi o di abolire solo diritti personali o solo quelli reali o tutti e due insieme,o di mantenere la proprietà dichiarata con titoli di proprietà, o di mantenere quest’ultima ma con pagamento di un indennizzo  da parte dei nobili.
La discussione sulla  proposta di legge fu diverse volte  sospesa. Dopo aver trovato un accordo tra le varie posizioni, il generale in capo Macdonald si rifiutò di firmarla; la Legge sarà quindi firmata dal nuovo commissario francese  Abrial, ma solo il 26 Aprile  quando già si era persa la fiducia della popolazione contadina.
Tre mesi per l’approvazione di una legge sulla feudalità non sono tanti, ma i contadini, stanchi delle discussioni precedenti, avrebbero voluto una legge subito.
Anche per l’abolizione dei monti familiari, cioè di quei  patrimoni messi insieme da una o più famiglie, dichiarati inalienabili e formanti la dote dei figli, le discussioni furono molto lunghe e l’approvazione avvenne solo dopo il primo Maggio.
Il "Progetto di Costituzione", preparato da Mario Pagano, composto da oltre 400 articoli,richiamò l’attenzione di molti soprattutto per le idee che la ispireranno. “La libertà, la facoltà di opinare - è scritto infatti nell’Introduzione - di servirsi delle sue forze fisiche, di estrinsecare i suoi pensieri, la resistenza all’oppressione sono modificazioni tutte del primitivo dritto dell’Uomo di conservarsi e di migliorarsi. La libertà è la facoltà dell’Uomo di valersi di tutte le sue forze morali, e fisiche, come gli piace, colla sola limitazione di non impedire agli altri di far lo stesso. L’Uomo schiavo è un Uomo deteriorato. l’Uomo deve far uso della ragione in tutta l’estensione. La sola limitazione dell’esercizio della facoltà di pensare sono le regole del vero. La tirannia, che inceppa gli spiriti, è più detestabile di quella, che incatena i corpi.”
Questa proposta non sarà mai approvata. Eppure questo modello,che si richiamava sì alla costituzione francese, ma con diversi  elementi di novità, sarà utilizzato da molti altri costituzionalisti.
Fu approvato il progetto di assistenza, una prima sorte di moderno Welfare, presentato da Domenico Cirillo, che prevedeva la creazione di “un’Associazione nella quale ognuno, in base alle proprie forze, volontariamente si tassi di un somma mensile con una cassa da affidare a persone probe”. Da qui scaturì la nomina di  una Commissione di 11 membri, a cui fu affidata una cassa con sede nella casa del cittadino Berio in Via Toledo. La struttura  effettuò  visite ai poveri  per soddisfare urgenti bisogni, soddisfece anche  qualche offerta di lavoro,  provvide a sistemare ragazze povere nei Conservatori.
Fu approvata la riforma dei  7 banchi. Questi enti morali, simili alle moderne banche, da privati divennero di corte per volontà di Maria Carolina.
Chi depositava denaro al banco aveva in cambio una “fede di credito”che circolava come moneta.  Quando non era coperta si ricorreva alla polizza.
I banchi furono trovati dai repubblicani con fedi di credito non coperte per 35 milioni di ducati. Questo debito, dopo lunghe discussioni, fu assunto come proprio dal nuovo governo. La decisione fu avversata da molti, soprattutto da Cuoco e dalla Pimentel.
Altri provvedimenti saranno approvati dal governo,come la Legge costitutiva   dell’Istituto Nazionale di ricerca,diviso in 4 sezioni e composto da 52 membri, le leggi sull’obbligo della rendicontazione da parte dei funzionari pubblici, sulla  Guardia nazionale, sul rafforzamento della vigilanza, sulla stampa.
Furono abolite la  tassa del testatico, da cui erano esclusi solo i nobili, la tassa sul grano, la gabella sul pesce.
Nell’ambito della proposta di un nuovo ordinamento giudiziario, furono  abolite la tortura e la carcerazione per debiti, fu istituito il Giudice di pace e sancito il diritto che l’accusato e l’accusatore potevano ricusare fino a due giudici. Fu approvato il nuovo Codice militare.
Tutto avvenne però con molti contrasti, con dimissioni, con conflitti col generale in capo e con il Direttorio, che non riconobbe mai questo governo, con eccessive mediazioni, con rinvii e ritardi, che a volte fecero perdere efficacia politica ai provvedimenti, da qui l’indebolimento del governo.
L’atto finale fu  lo  scontro tra i due generali Girardon e Manthonè, che bocciò il piano di difesa del primo per una strategia militare fallimentare e causa finale  della caduta della Repubblica.
In conclusione l’esperienza repubblicana del ’99 fu quella di una giovane democrazia che fece dell’allargamento dei poteri, della moltiplicazione degli organismi,del confronto tra le posizioni, della dialettica  gli strumenti essenziali della sua azione politica. Le diverse anime, presenti nel governo, nei comitati, nelle commissioni spesso furono un arricchimento,ma a volte anche  un elemento di paralisi.
E’ la natura dei regimi democratici, che non sempre trovano le  giuste regole per ricomporre conflitti e per gestire la partecipazione dei cittadini.
Forse la decisione di partire con una struttura di governo  parcellizzata in molti  comitati e commissioni, fu audace nella situazione di un’emergenza creata dai progetti di rivincita da parte dei Borbone,dai contrasti con il Direttorio, dalle dimensioni territoriali troppo estese della nuova Repubblica.
Le scelte della giovane democrazia furono quelle di chiudere con il passato borbonico. Non ci fu perciò una fase di transizione, che in genere si ha anche a seguito di cambiamenti rivoluzionari. Le aspirazioni alla sovranità del popolo napoletano e l’influenza dei tanti comitati patriottici spinsero in direzione di una rottura col passato.
In non poche occasioni si dovette però fare marcia indietro come con la divisione del territorio in Dipartimenti, con la elezione dei rappresentanti della municipalità, come in parte anche sull’abolizione dei feudi.
In queste marce indietro si inserirono spesso esponenti della ricca borghesia terriera, i cui rappresentanti in massa conquistarono il governo delle municipalità. Spesso contro questa borghesia erano gli stessi nobili a sostenere la Repubblica e a piantare alberi della libertà. Si crearono perciò situazioni poco chiare  nei soggetti sociali sostenitori del nuovo Stato.
Il sanfedismo lavorò molto su queste difficoltà e sul conseguente  malcontento  dei ceti popolari, mandando nelle case di contadini e artigiani sacerdoti a fare campagna contro la Repubblica e minacciando chi coltivava sentimenti repubblicani.
In questo scontro il Cardinale Ruffo e il suo esercito della santa fede provocheranno  una rottura storica tra borghesi e contadini, tra contadini e movimento repubblicano, rottura che sarà pagata duramente  dal popolo meridionale.
La conclusione fu terribilmente tragica.
Il primo atto fu compiuto dal “civile”Nelson, che farà impiccare senza un processo all’albero della sua nave uno dei più grandi ammiragli del tempo, Francesco Caracciolo.
Seguirono a migliaia arresti e condanne; oltre cento furono mandati  a morte, scelti tra la migliore intellettualità di Napoli e del Sud.
Napoli divenne teatro di una delle più orribili tragedie della storia, con violenze inaudite sulla popolazione da parte di criminali e delinquenti liberati dalle carceri, con assedi di case, con ruberie varie, con accensione di falò in vari punti della città, su cui venivano bruciati alla rinfusa cittadini feriti,morenti e morti con macabre scene di cannibalismo.
La Napoli della cultura e capitale europea della musica divenne preda di un’animalità, che sfogò tutti  i suoi istinti bestiali e perversi.
La storia di Napoli però non finirà qui;aprirà le porte ad un’altra storia, quella risorgimentale.
Pagano prima di salire sul patibolo avrebbe detto “Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà”.
Le idee e il sacrificio di questi uomini  plasmeranno infatti l’anima della nazione e tracceranno  quella linea di pensiero  lungo la quale si collocheranno  pensatori come Silvio e Bertrando Spaventa (Teoria dello Stato), Francesco De Sanctis (Identità nazionale), Antonio Labriola (La necessità di un’organizzazione politica della società,l’antimetafisica e la filosofia della prassi), Antonio Gramsci (Il blocco storico, il ruolo degli intellettuali e il partito politico), Piero Gobetti (Conciliazione di Socialismo e liberalismo, la visione morale della politica) e Benedetto Croce (Lo storicismo e l’azione delle forze morali operanti nella storia, il legame tra la Repubblica Napoletana del ‘99 e il Risorgimento italiano).
E su  questa linea saranno fissati i principi di una nazione democratica e di una  nuova società, nella quale viviamo ancora noi.

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