martedì 22 aprile 2014

Il sogno democratico del clero repubblicano in Terra di Puglia nel 1799

 

Oltre al vescovo di Potenza, Giovanni Andrea Serrao, barbaramente trucidato in casa il 24 febbraio 1799 da ignoti sanfedisti, e successivamente decapitato con la testa fissata su un’alta picca ed esposta in pubblica piazza per quattro giorni, tanti uomini di chiesa repubblicani condivisero il sogno della Repubblica e non pochi furono uccisi dalla reazione nelle Puglie.Nonostante si sia cercato di bruciare o occultare i documenti per nascondere la barbarie, la partecipazione dei religiosi agli avvenimenti della Repubblica, quali sostenitori delle idee di libertà, uguaglianza e democrazia repubblicana, è ampiamente venuta alla luce.
Un ottimo lavoro in tal senso si deve ad Antonio Lucarelli, il quale, nell’opera La Puglia nel Risorgimento (Bari,1934) ha descritto l’ardore che mosse tali religiosi a sostenere le idee di libertà e democrazia.
“Non fu istituita alcuna municipalità, di cui non fossero partecipi, come presidenti o segretari o giudici di pace, gli uomini del clero; non vi furono benedizioni di alberi o di vessilli tricolori, né altre civiche manifestazioni, a cui non risonasse la concitata parola dei ministri del cattolicesimo, disconosciuti per lo più dalla romana Curia.”
Infatti dalle chiese, dai conventi, dai seminari uscirono religiosi di ogni ordine e grado per supportare i repubblicani, dai carmelitani ai cassinesi, dagli agostiniani ai paolotti, senza dimenticare il tributo di sangue che i domenicani diedero alla Repubblica.
La Tavola necrologica dei rei di Stato del 1799 racconta episodi specifici, ad iniziare dal monaco benedettino Arcangelo Carbonelli il quale, “dopo aver piantato l’albero, lo baciò e recitò il Sermone Repubblicano nella Cattedrale Chiesa di Lecce”.
Il minore conventuale Domenico Grande bruciò i ritratti dei sovrani, il carmelitano Eustachio Morgese e il carmelitano Luigi Varrone montarono la guardia a favore della repubblica. Inoltre trai i sacerdoti repubblicani sono annoverati i paolotti Michelangelo De Carolis e Vincenzo Carbotti, i minori conventuali Pietro Caramita e Raffaele Conserva.
A Trani a piantare l’albero della libertà furono i monaci cassinesi Tanfa e Santacroce e il domenicano Luigi Acquaviva. A Molfetta la comunità del convento dei domenicani era considerata tutta repubblicana, uomini di grande cultura e di scienza che furono assaliti dai sanfedisti il 5 febbraio 1799 mentre erano nel loro refettorio. Quelli che non riuscirono a scappare vennero trucidati in convento.
A Molfetta anche la comunità dei francescani fu “saccheggiata”.
A Lecce un folto gruppo di benedettini propugnatori della democrazia repubblicana, docenti di lettere, filosofia e matematica subirono il saccheggio del convento da parte della reazione legittimista.
A Gioia del Colle il domenicano Gisotti, fu “ condannato all’esilio per le sue libere opinioni” e terminò la sua vita da randagio tra le carceri delle Puglie e di Napoli.
Inoltre non possiamo non ricordare i minori osservanti, i domenicani e i cappuccini di Altamura e l’arcivescovo Ginevra che a Bari aveva benedetto l’albero della libertà.
Un lungo elenco, quindi, di uomini di chiesa che credevano nella democrazia repubblicana, apportatrice di libertà e di uguaglianza. La lista - per concludere con le parole di Antonio Lucarelli - densa di centinaia e centinaia di nomi, fra secolari ed ecclesiasti, prosegue per duecento fogli, consacrando alla venerazione dei posteri quei ribelli dell’assolutismo […] A loro che disertano le chiese e corrono impavidi per le muraglie delle assediate città agitando la croce e la spada, noi, quale che sia la nostra fede politica e religiosa, dobbiamo inchinarci reverenti. Nel furore della mischia, quando più sovrastava il terrore e la morte, essi adempivano egregiamente il noto monito di Mario Pagano […]: la libertà non si conquista che col ferro, e non si mantiene che col coraggio; occorre virtù, talento, sentimento del dovere!” E di tali doti- riconosciamo la verità appassionata- rifulsero in Puglia tanti e tanti ministri della chiesa cattolica”.

Pubblicato Martedì, 22 Aprile 2014 23:11 Scritto da Angelo Martino

venerdì 4 aprile 2014

Fenestrelle lager dei Savoia? Non esattamente.


Faccia a faccia con il Prof.Alessandro Barbero
Immagine articolo - Il sito d'Italia
Da qualche tempo sembra tornato alla ribalta nel nostro Paese il revisionismo di matrice antirisorgimentale, fenomeno a ben vedere mai completamente sopito. Libri, articoli di giornale e , soprattutto, discussioni nel variopinto mondo della rete in cui i lunghi ed articolati processi che condussero l'Italia all'Unità vanno incontro ad una rilettura e ad una una riscrizione. Ecco allora che Garibaldi da “Eroe dei Due Mondi” può diventare un “ladro di cavalli” ed un “assassino”, i Savoia si trasformano nei “Saboia” e l'antica fortezza di Fenetsrelle è raccontata come un campo di concentramento dove trovarono la morte schiere di soldati duosiciliani dopo la definitiva sconfitta del loro Paese. Ma le cose stanno davvero così? Cosa c'è di vero? E che cosa di falso? Ne abbiamo parlato con il Prof.Alessandro Barbero, uno dei maggiori storici italiani ed autore del best seller “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle”.


-Professore, perché un libro su argomento come il carcere di Fenestrelle?

-Perché nel 2011, durante le celebrazioni dell'Unità d'Italia, mi sono imbattuto, per caso, nella storia dello sterminio di Fenestrelle, e mi sono accorto che non ne sapevo niente; e mentre mi pareva abbastanza probabile che si trattasse di una mistificazione, mi seccava però molto non esserne sicuro. Non si può mai sapere, nella storia sono successe così tante cose che uno non avrebbe mai creduto possibili. Così sono andato in archivio a vedere cos'era successo davvero, e mi sono appassionato scoprendo la ricchezza straordinaria della documentazione.

-Ma che cosa fu in realtà Fenestrelle? E che cosa fu il Risorgimento?
-Fenestrelle era tante cose, e nessuna particolarmente strana. Era un forte nato per difendere la frontiera con la Francia; era stato, in passato, luogo di detenzione per prigionieri politici; era la caserma del Corpo Franco, ovvero il corpo di punizione disciplinare dell'esercito piemontese prima e italiano poi; fu uno dei luoghi in cui nel 1859-60 vennero brevemente detenuti prigionieri di guerra austriaci, pontifici e napoletani; e fu uno dei luoghi in cui nel 1860 transitarono i contingenti di disertori alla leva arrestati nel Sud e trasferiti al Nord per essere incorporati nell'esercito. Dopodiché , siccome queste cose accadevano nell'Ottocento, età che credeva al progresso, alla civiltà e ai diritti umani, e accadevano sotto gli occhi dell'opinione pubblica, della stampa, del parlamento e della Chiesa, e non nell'epoca di Conan il Barbaro o del Trono di Spade, Fenestrelle in tutte queste sue diverse incarnazioni non fu mai teatro di niente di particolarmente oscuro o sinistro, con buona pace di chi sostiene il contrario senza uno straccio di documento a cui appigliarsi.

Quanto alla seconda domanda, che cosa fu il Risorgimento, non crederete davvero che si possa rispondere così in poche righe? Se permettete mi accontenterà di dire che fu una pagina decisiva della storia italiana; e come ogni pagina di storia (specialmente italiana, verrebbe da dire) fu intrecciato di contraddizioni, di errori e di momenti poco chiari; e tuttavia fu una modernizzazione decisiva per il paese, e come ogni modernizzazione ebbe i suoi oppositori e anche le sue vittime; e finalmente, che fu uno dei pochi momenti della nostra storia recente in cui l'Italia e gli italiani furono al centro dell'attenzione mondiale e suscitarono affetto e ammirazione in tutto il mondo, cosa che magari sarebbe bene non dimenticare...

-Non sono state poche le critiche (anche ai limiti dell'educazione del buongusto) che hanno interessato la sua persona, dopo la pubblicazione del libro. Come se lo spiega?
-Il movimento neoborbonico ha costruito una versione alternativa della storia, totalmente immaginaria, ma molto seducente, e ha attirato molte persone in buona fede, ma anche molti fanatici, che non hanno voglia di discutere, né saprebbero farlo, ma solo di urlare e insultare. La rete ha fatto il resto, dal momento che fra chi interviene in rete,  su qualunque argomento, la tendenza a trascendere nella volgarità e nell'insulto sembra essere irresistibile.
 
-Il nostro Meridione sta conoscendo negli ultimi anni una certa rivalutazione del passato duosiciliano, contestualmente ad un rigetto della memoria risorgimentale. Secondo lei qual è la ragione del fenomeno?
-C'è la disperazione di chi al Sud non crede più di poter colmare il ritardo strutturale del paese, e preferisce rifugiarsi in un sogno consolatorio, e anche nella voglia di dare la colpa a qualcun altro - che siano i piemontesi, i massoni, i Savoia o chicchessia. E c'è l'ignoranza profonda di un paese - e parlo dell'Italia tutta - dove lo spirito critico sta a zero, e alla gente si può far bere tutto quello che si vuole, anche le panzane più enormi, quando si parla del passato...

-Che cosa c'è di vero nel revisionismo “neoborbonico”? E di falso?
-Per come si presenta, non c'è niente di vero, è tutto falso. Perché , beninteso, che l'unità d'Italia sia stata fatta male, lo si è sempre detto, si è cominciato a discuterne nel 1861 e non si è mai smesso. Che per il Sud l'unificazione sia stata particolarmente traumatica, che la grande speranza sollevata da Garibaldi fra i contadini sia stata delusa, che il brigantaggio abbia anche espresso un malessere profondo del mondo contadino e abbia dato origine a una vera guerra civile fra meridionali, che la repressione del brigantaggio da parte dell'esercito italiano sia stata feroce, tutte queste cose si sono sempre sapute e discusse - solo chi non ha mai avuto voglia di cercare dei libri e informarsi può strillare, come molti fanno oggi, che queste cose "sono state tenute nascoste". Ma il revisionismo neoborbonico non dice queste cose: dice che c'è stata l'invasione piemontese, che i briganti erano eroi che difendevano il loro paese e il loro re dagli invasori, che c'è stato un milione di morti, e che prima di allora il regno borbonico era prospero e felice, era la terza potenza industriale d'Europa, aveva cento primati, ecc. ecc. - tutte queste sono frottole così grosse che c'è da vergognarsi perfino di doverle discutere, e che ci possa essere qualcuno che ci crede.