Oltre al vescovo di Potenza, Giovanni Andrea Serrao, barbaramente trucidato in casa il 24 febbraio 1799 da ignoti sanfedisti, e successivamente decapitato con la testa fissata su un’alta picca ed esposta in pubblica piazza per quattro giorni, tanti uomini di chiesa repubblicani condivisero il sogno della Repubblica e non pochi furono uccisi dalla reazione nelle Puglie.Nonostante si sia cercato di bruciare o occultare i documenti per nascondere la barbarie, la partecipazione dei religiosi agli avvenimenti della Repubblica, quali sostenitori delle idee di libertà, uguaglianza e democrazia repubblicana, è ampiamente venuta alla luce.
Un ottimo lavoro in tal senso si deve ad Antonio Lucarelli, il quale, nell’opera La Puglia nel Risorgimento (Bari,1934) ha descritto l’ardore che mosse tali religiosi a sostenere le idee di libertà e democrazia.
“Non fu istituita alcuna municipalità, di cui non fossero partecipi, come presidenti o segretari o giudici di pace, gli uomini del clero; non vi furono benedizioni di alberi o di vessilli tricolori, né altre civiche manifestazioni, a cui non risonasse la concitata parola dei ministri del cattolicesimo, disconosciuti per lo più dalla romana Curia.”
Infatti dalle chiese, dai conventi, dai seminari uscirono religiosi di ogni ordine e grado per supportare i repubblicani, dai carmelitani ai cassinesi, dagli agostiniani ai paolotti, senza dimenticare il tributo di sangue che i domenicani diedero alla Repubblica.
La Tavola necrologica dei rei di Stato del 1799 racconta episodi specifici, ad iniziare dal monaco benedettino Arcangelo Carbonelli il quale, “dopo aver piantato l’albero, lo baciò e recitò il Sermone Repubblicano nella Cattedrale Chiesa di Lecce”.
Il minore conventuale Domenico Grande bruciò i ritratti dei sovrani, il carmelitano Eustachio Morgese e il carmelitano Luigi Varrone montarono la guardia a favore della repubblica. Inoltre trai i sacerdoti repubblicani sono annoverati i paolotti Michelangelo De Carolis e Vincenzo Carbotti, i minori conventuali Pietro Caramita e Raffaele Conserva.
A Trani a piantare l’albero della libertà furono i monaci cassinesi Tanfa e Santacroce e il domenicano Luigi Acquaviva. A Molfetta la comunità del convento dei domenicani era considerata tutta repubblicana, uomini di grande cultura e di scienza che furono assaliti dai sanfedisti il 5 febbraio 1799 mentre erano nel loro refettorio. Quelli che non riuscirono a scappare vennero trucidati in convento.
A Molfetta anche la comunità dei francescani fu “saccheggiata”.
A Lecce un folto gruppo di benedettini propugnatori della democrazia repubblicana, docenti di lettere, filosofia e matematica subirono il saccheggio del convento da parte della reazione legittimista.
A Gioia del Colle il domenicano Gisotti, fu “ condannato all’esilio per le sue libere opinioni” e terminò la sua vita da randagio tra le carceri delle Puglie e di Napoli.
Inoltre non possiamo non ricordare i minori osservanti, i domenicani e i cappuccini di Altamura e l’arcivescovo Ginevra che a Bari aveva benedetto l’albero della libertà.
Un lungo elenco, quindi, di uomini di chiesa che credevano nella democrazia repubblicana, apportatrice di libertà e di uguaglianza. La lista - per concludere con le parole di Antonio Lucarelli - densa di centinaia e centinaia di nomi, fra secolari ed ecclesiasti, prosegue per duecento fogli, consacrando alla venerazione dei posteri quei ribelli dell’assolutismo […] A loro che disertano le chiese e corrono impavidi per le muraglie delle assediate città agitando la croce e la spada, noi, quale che sia la nostra fede politica e religiosa, dobbiamo inchinarci reverenti. Nel furore della mischia, quando più sovrastava il terrore e la morte, essi adempivano egregiamente il noto monito di Mario Pagano […]: la libertà non si conquista che col ferro, e non si mantiene che col coraggio; occorre virtù, talento, sentimento del dovere!” E di tali doti- riconosciamo la verità appassionata- rifulsero in Puglia tanti e tanti ministri della chiesa cattolica”.
Un ottimo lavoro in tal senso si deve ad Antonio Lucarelli, il quale, nell’opera La Puglia nel Risorgimento (Bari,1934) ha descritto l’ardore che mosse tali religiosi a sostenere le idee di libertà e democrazia.
“Non fu istituita alcuna municipalità, di cui non fossero partecipi, come presidenti o segretari o giudici di pace, gli uomini del clero; non vi furono benedizioni di alberi o di vessilli tricolori, né altre civiche manifestazioni, a cui non risonasse la concitata parola dei ministri del cattolicesimo, disconosciuti per lo più dalla romana Curia.”
Infatti dalle chiese, dai conventi, dai seminari uscirono religiosi di ogni ordine e grado per supportare i repubblicani, dai carmelitani ai cassinesi, dagli agostiniani ai paolotti, senza dimenticare il tributo di sangue che i domenicani diedero alla Repubblica.
La Tavola necrologica dei rei di Stato del 1799 racconta episodi specifici, ad iniziare dal monaco benedettino Arcangelo Carbonelli il quale, “dopo aver piantato l’albero, lo baciò e recitò il Sermone Repubblicano nella Cattedrale Chiesa di Lecce”.
Il minore conventuale Domenico Grande bruciò i ritratti dei sovrani, il carmelitano Eustachio Morgese e il carmelitano Luigi Varrone montarono la guardia a favore della repubblica. Inoltre trai i sacerdoti repubblicani sono annoverati i paolotti Michelangelo De Carolis e Vincenzo Carbotti, i minori conventuali Pietro Caramita e Raffaele Conserva.
A Trani a piantare l’albero della libertà furono i monaci cassinesi Tanfa e Santacroce e il domenicano Luigi Acquaviva. A Molfetta la comunità del convento dei domenicani era considerata tutta repubblicana, uomini di grande cultura e di scienza che furono assaliti dai sanfedisti il 5 febbraio 1799 mentre erano nel loro refettorio. Quelli che non riuscirono a scappare vennero trucidati in convento.
A Molfetta anche la comunità dei francescani fu “saccheggiata”.
A Lecce un folto gruppo di benedettini propugnatori della democrazia repubblicana, docenti di lettere, filosofia e matematica subirono il saccheggio del convento da parte della reazione legittimista.
A Gioia del Colle il domenicano Gisotti, fu “ condannato all’esilio per le sue libere opinioni” e terminò la sua vita da randagio tra le carceri delle Puglie e di Napoli.
Inoltre non possiamo non ricordare i minori osservanti, i domenicani e i cappuccini di Altamura e l’arcivescovo Ginevra che a Bari aveva benedetto l’albero della libertà.
Un lungo elenco, quindi, di uomini di chiesa che credevano nella democrazia repubblicana, apportatrice di libertà e di uguaglianza. La lista - per concludere con le parole di Antonio Lucarelli - densa di centinaia e centinaia di nomi, fra secolari ed ecclesiasti, prosegue per duecento fogli, consacrando alla venerazione dei posteri quei ribelli dell’assolutismo […] A loro che disertano le chiese e corrono impavidi per le muraglie delle assediate città agitando la croce e la spada, noi, quale che sia la nostra fede politica e religiosa, dobbiamo inchinarci reverenti. Nel furore della mischia, quando più sovrastava il terrore e la morte, essi adempivano egregiamente il noto monito di Mario Pagano […]: la libertà non si conquista che col ferro, e non si mantiene che col coraggio; occorre virtù, talento, sentimento del dovere!” E di tali doti- riconosciamo la verità appassionata- rifulsero in Puglia tanti e tanti ministri della chiesa cattolica”.
Pubblicato Martedì, 22 Aprile 2014 23:11 Scritto da Angelo Martino