giovedì 23 gennaio 2014

L'uso della tortura nei lager borbonici , sopratutto sui siciliani


E’ un opuscolo pubblicato in lingua italiana a Parigi nell’aprile del 1860 che ci fornisce dettagliate informazioni sull’uso della tortura nel Regno delle Due Sicilie , anche se il testo ha quale titolo “La Tortura in Sicilia “, scritto da Carlo di La Varenne, il quale raccoglie una serie di lettere pubblicate dal giornale parigino L’opinion Nationale. Come sottolinea Antonio Caprarica “ le vittime sono indicate con nomi e cognomi , autentiche nelle loro sofferenze”. 

Così apprendiamo dall’autore che a Palermo, il re si chiama Maniscalco e a Napoli Ajossa, che non solo altro che i rispettivi capi della polizia . Il testo esplicita che nel Regno delle Due Sicilie “il governo è la polizia senza responsabilità e senza freni”. Il ricorso alla tortura è indicato quale “ricorso abituale“ in tanti casi di arresti indiscriminati e di detenzioni senza informazioni alla famiglia e alla magistratura”.Vengono elencate le più orrende forme di tortura quali “la cuffia del silenzio”, “l’istrumento angelico”. 

Vengono indicati anche precisamente in cosa consistono tali forme di tortura, a chi vengono crudelmente praticate e in quale luogo di detenzione. Pertanto, al commerciante siciliano Giovanni Vienna viene praticata la “cuffia del silenzio” dal “famigerato commissario Pontillo”. 
Al fine di ricevere presunti informazioni il detenuto Vienna fu condotto sulla spiaggia di Zafferano e, dopo avergli legato mani e piedi e infilato in un sacco, fu più volte immerso nel mare, tirato fuori, rianimato per ottenere presunte informazioni fino all’agonia. L”instrumento angelico", invece, era praticato in prigione, applicando “agli accusati manotte di ferro con viti di pressione”. Ogni commissariato di polizia era specializzato in una particolare forma di tortura più o meno orribile, dal terribile supplizio dell’arganello  alla “poltrona a graticola”. 
Consideriamo che siamo alla vigilia degli avvenimenti del 1860 e la Sicilia “ribolle di rabbia e di complotti”, come sottolinea Caprarica , riportando il caso di Nicosia ove, dopo l’assassinio del feroce capitano Gorgone, vengono arrestati “senza indizi” Chimera e Pizzolo. Costoro si mostrano resistenti anche alla tortura . L’ispettore , allora, fa arrestare la moglie di Chimera , una bella ragazza di ventidue anni. La pagina 16 del testo “ La tortura in Sicilia “così riporta lo stupro plurimo che subisce la giovane moglie di Chimera in carcere:“ Dopo averla oppressa di orribili violenze, [ l’ispettore] la fè ligare sopra un banco e l’abbondonò alla brutalità de’ suoi sbirri” Dopo tre giorni di tale trattamento la giovane donna depone” che suo marito le avea detto di voler uccidere il capitano Gorgone”. A conclusione della trattazione dei casi di tortura Antonio Caprarica così conclude:“Questi abusi atroci , che nei casi più clamorosi risultano confermati dall’intervento ( inefficace) dei giudici , alimentano l’odio pluridecennale dei siciliani verso i Borbone.


Angelo Martino


Bibliografia 
Antonio Caprarica- C’era una volta in Italia- Sperling & kupfer- 2010

http://www.comunedipignataro.it/modules.php?name=News&file=article&sid=21015

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