Gli stranieri che vengono nelle nostre contrade, guardando la serena bellezza del nostro cielo e la fertilità de' campi, leggendo il codice delle nostre leggi, e udendo parlar di progresso, di civiltà e di religione, crederanno che gl'italiani delle Due Sicilie godono di una felicità invidiabile. E pure nessuno Stato di Europa è incondizione peggiore della nostra, non eccettuati nemmeno i turchi, i quali almeno sono barbari, sanno che non hanno leggi, son confortati dalla religione a sottomettersi ad una cieca fatalità, e con tutto questo van migliorando ogni dì; ma nel Regno delle Sicilie, nel paese che è detto giardino d'Europa, la gente muore di vera fame e in istato peggiore delle bestie, sola legge è il capriccio, il progresso è indietreggiare ed imbarberire, nel nome santissimo di Cristo e oppresso un popolo di cristiani. Se ogni paesello, ogni terra, ogni città degli Abruzzi, de' Principati, delle Puglie, delle Calabrie, e della bella e sventurata Sicilia, potesse raccontare le crudeltà, gl'insulti, le tirannie che patisce nelle persone e negli averi; se io avessi tante lingue che potessi ripetere i lamenti e i dolori di tante persone, che gemono sotto il peso d'indicibili mali, dovrei scrivere molti e grossi volumi; ma quel pochissimo ch'io dirò farà certo piangere e fremere d'ira ogni uomo, e mostrerà che i pretesi miglioramenti che fa il nostro governo, sono svergognate menzogne, seno oppressioni novelle più ingegnose. Questo governo è un'immensa piramide, la cui base è fatta da' birri e da' preti, la cima dal re: ogni impiegato, dall'usciere al ministro, dal soldatello al generale, dal gendarme al ministro di polizia, dal prete al confessore del re, ogni scrivanuccio è despota spietato, e pazzo su quelli che gli sono soggetti, ed è vilissimo schiavo verso i suoi superiori. Onde chi non è tra gli oppressori, si sente da ogni parte schiacciato dal peso della tirannia di mille ribaldi: e la pace, la libertà, le sostanze, la vita degli uomini onesti, dipendono dal capriccio, non dico del principe o di un ministro, ma di ogni impiegatello, di una baldracca, di una spia, di un birro, di un gesuita, di un prete.
Luigi Settembrini 1847
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