29 MAGGIO 2016 | di Dino Messina
Gli attenti lettori del “Corriere della sera” al nome di Corleto Perticara, paese lucano di 2500 abitanti, assoceranno subito il giacimento petrolifero di Tempa Rossa e l’inchiesta giudiziaria che la Procura di Potenza sta conducendo. Il Comune della val d’Agri su cui sono stati proiettati i riflettori nazionali in realtà ebbe un momento di notorietà ben più vasto e attrasse l’attenzione nientemeno che di Federico Engels, l’economista e filosofo collaboratore di Carlo Marx quando in un articolo apparso sul “New York Daily Tribune” il 21 settembre 1860, a commento della straordinaria spedizione dei Mille, definita “una delle più sensazionali imprese militari del secolo”, individuò in “Carletto Perticara” (sic!) il centro propulsore del movimento insurrezionale in Basilicata. Un movimento, dicono gli storici del Risorgimento, che fu determinante nell’alleggerire la pressione su Garibaldi, facilitarne lo sbarco di Calabria e accelerare la sua marcia nelle regioni continentali.
Questa pillola di erudizione è frutto della lettura della biografia che lo storico Ettore Cinnella ha dedicato a un personaggio che l’Unità nazionale la combatté: Carmine Crocco (1830-1905), il più temuto brigante dell’Ottocento, a capo di un esercito di oltre mille ribelli che nessun generale piemontese sapeva domare. Soltanto il tradimento di un suo compagno d’armi (Giuseppe Caruso) riuscì a sconfiggerlo.
La biografia scritta da Cinnella, che ha insegnato storia dell’Europa orientale all’università di Pisa e di solito si occupa di Rivoluzione russa e dintorni, torna ora per i tipi di Della Porta Editori in una versione arricchita di una postfazione, che pone alcune questioni di metodo e offre un’interpretazione complessiva del “brigantaggio”. Non fu semplicemente una reazione dei lealisti borbonici alla conquista regia sabauda; né soltanto un movimento armato con connotazioni di classe; né un’esplosione spontanea della plebe contro i soprusi e i provvedimenti drastici imposti dal governo piemontese, primo fra tutti la leva obbligatoria; o lo scioglimento dell’esercito garibaldino che spinse le camicie rosse del Nord a rientrare deluse al più presto alle attività domestiche e tanti combattenti del Sud, in un contesto sociale più difficile, a darsi alla macchia.
Carmine Crocco era già un bandito temuto nel 1860. Né si può confondere il suo nome con quello dei patrioti liberali, come Giacomo Racioppi, Michele Lacava, Carmine Senise, Emilio Petrucelli. Tuttavia sarebbe negare l’evidenza dei fatti se non si raccontasse che durante i moti risorgimentali, che culminarono il 18 agosto nella “liberazione” di Potenza, un ruolo militare importante lo ebbe anche il bandito di Rionero in Vulture, chiamato con i suoi compari a dare manforte all’insurrezione. Ne furono testimoni il grande meridionalista Giustino Fortunato, allora un ragazzo dodicenne, che vide “Crocco venire innanzi, alto magro e mobilissimo nella persona, con la fascia tricolore al fianco ed il berretto della guardia nazionale in campo”.
Anche un testimone al processo celebrato a Potenza contro il bandito nel 1872, il canonico Luigi Rubino, disse che Crocco “si mostrava con entusiasmo attaccato al Nazionale Risorgimento…”.
Qualcuno dei maggiorenti liberali gli aveva promesso che i suoi precedenti reati sarebbero stati condonati, ma le promesse non furono mantenute e dopo la denuncia di una guardia nazionale che era stata sequestrata dalla sua banda, Crocco si diede nuovamente alla macchia. Arrestato brevemente, riuscì ad evadere e dal 1861 cominciò la nuova carriera del brigante più temuto del Sud: nella sua banda acquartierata nei boschi attorno ai laghi di Monticchio confluirono sbandati dell’esercito borbonico, renitenti alla leva, altri fuorilegge.
Tra i figuri della banda Crocco, le cui imprese fanno parte dell’epica popolare locale, spiccano Vincenzo Mastronardi, Michele Larotonda e Giuseppe Nicola Summa, detto Ninco-Nanco, rinomato per la ferocia.
Prima della comparsa in Basilicata di un gentiluomo bretone, Augustin Marie Olivier de Langlais, le macabre imprese della banda Crocco (sequestri, omicidi, assalti ai villaggi) non ebbero colorazione politica. Fu sotto la regìa di questo lealista francese che Carmine Crocco, a capo ormai di 43 bande e di oltre mille uomini, da semplice fuorilegge divenne “generale” al servizio dei Borbone, per riportare sul trono lo spodestato Francesco II.
Un altro personaggio cruciale nella carriera antirisorgimentale di Crocco fu il nobile spagnolo José Borges: fedele alla causa dei Borbone più del francese, cercò di prendere il comando delle bande di Crocco senza riuscirvi. Finì fucilato da un plotone piemontese mentre il Langlais, che era la vera mente delle insorgenze lealiste in Basilicata, cui Crocco faceva riferimento, riuscì a riparare in Francia.
Nell’agosto 1864, pressato dalla morsa predisposta dall’abile generale sabaudo Emilio Pallavicini di Priola, con il determinante aiuto del “traditore” Caruso, Carmine Crocco scappò nello Stato pontificio, dove credeva di poter vivere con i denari che aveva portato con sé. Ma venne arrestato a Roma. Rimase in carcere fino al 1867, quando, scrive Cinnella, “il governo pontificio tentò di liberarsene procurandogli un passaporto francese”. Ma a Marsiglia fu di nuovo arrestato e rimandato nello Stato pontificio: venne rinchiuso nella fortezza di Paliano, nei pressi di Frosinone, “dove rimase fino all’arrivo dell’esercito italiano nel 1870”.
Crocco tornò in Basilicata per la celebrazione del processo a Potenza nel 1872. La condanna a morte, per volere del re, gli venne commutata in ergastolo. Morì nel carcere di Portoferraio a 75 anni. Agli eredi lasciò 6 calze di cotone, una maglia di cotone e una di lana, due berretti da notte.
Il racconto di Cinnella, saggista dalla prosa nitida e coinvolgente, si ispira alla storiografia classica sul brigantaggio, da Pasquale Villari a Franco Molfese, ma soprattutto è basato sui documenti dell’epoca. Innanzitutto le varie autobiografie di Carmine Crocco (fondamentale la versione messa in italiano dal capitano Eugenio Massa) e le interviste che vari studiosi della scuola lombrosiana dedicarono ai vari briganti. Come lo storico di vaglia deve saper fare, Cinnella risale dalla foglia alla foresta. Partendo dalla descrizione della controversa vicenda umana di un pastore semianalfabeta del Sud più arretrato, l’autore ci offre un quadro d’insieme del fenomeno del brigantaggio meridionale.
Dino Messina