Passeggiando, in una fresca giornata primaverile, fra i vialetti romani del Gianicolo, parco delle memorie risorgimentali, mi sono soffermato presso i numerosi busti marmorei ritraenti gli eroi, dimenticati e celebrati dell'epopea garibaldina, tappa fondamentale della nostra storia patria.
Tra i tanti, ha attirato particolarmente la mia curiosità il busto di Raffaele Tosi.
Dal 1848 al 1867, ogni volta che si rese necessario impugnare le armi contro l'oppressore straniero o contro i reazionari papalini, Tosi non mancò mai all'appello.
Nato a Rimini nel 1833, nel 1848, nonostante la sua giovane età, decise caparbiamente di servire la Guardia Civile, mobilitata per la difesa del Veneto insorto.
Venne, quindi, nominato Tamburino (non combattente), e in seguito dopo numerose difficoltà, una volta arruolato, non tardò a diventare un valoroso combattente.
Durante l'assedio di Venezia, a Marghera, s'impegnò contro gli austriaci, guadagnandosi l'ammirazione dei superiori e dei commilitoni.
Venne, però, colpito da una lunga febbre che lo costrinse ad allontanarsi da Venezia e a lasciare i campi di battaglia; ma per poco tempo, perché una volta rimessosi, avendo saputo che a Roma si era "issato il vessillo della libertà", non tardò a raggiungere la città eterna verso la quale stavano convergendo i patrioti italiani.
Qui, sempre in prima linea, nell'avamposto di casa Giacomelli, rimase gravemente ferito ad una gamba.
Ricoverato presso l'ospedale militare di Santa Maria della Scala, a Trastevere, assistette all'agonia di Luciano Manara, del moro Andre Aguyar e di tanti altri eroi.
Il generale Giuseppe Garibaldi gli conferì un certificato affermando che: "Questo milite merita encomio e considerazione, per la sua bella comportazione nei fatte d'arme di Roma nel 1849".
Sebbene reso inabile dalle fatiche della guerra per la ferita alal gamba mai guarita, questo "forte" romagnolo decise ugualmente di seguire il suo generale nelle successive campagne: dalla II Guerra d'Indipendenza alla Spedizione dei Mille dove, per la seconda volta, rimase ferito guadagnandosi la prima medaglia d'argento al "Valor militare".
Nel 1866, allo scoppio della III Guerra d'Indipendenza, Tosi si arruolò come luogotenente nel 5° Reggimento Volontari agli ordini del generale Giuseppe Garibaldi, e nella Giornata di Bezzecca (21 luglio) ottenne la seconda medaglia al "Valor militare", "Per aver mostrato molto slancio nel caricare la baionetta, animando sempre i soldati in momento di gran pericolo. Fuggì dalle mani del nemico dopo essere stato fatto prigioniero".
Guarito, fu nominato aiutante maggiore in 1° del suo reggimento, e nel 1867 aderì subito all'appello che Garibaldi aveva rivolto agli Italiani per la liberazione di Roma.
Divenne capitano del 7° battaglione della 3° colonna comandata dal Colonnello Eugenio Valzania, distinguendosi ancora con coraggio ed iniziativa.
Rientrato dopo tante battaglie nella sua Rimini, dedicò il resto della vita ad opere di pace, aiutando i vecchi compagni d'arme che la Patria aveva dimenticato.
Fu più volte ospite di Garibaldi nella solitudine della sua Caprera; il generale lo ebbe particolarmente a cuore, negli ultimi anni di vita, lo chiamava "carissimo e prode fratello d'armi".
Raffaele Tosi morì il 6 aprile del 1913 ed ebbe solenni onoranze funebri dai concittadini e dai pochi compagni di battaglia sopravvissuti e convenuti da ogni parte della Romagna e dalle vicine Marche.
Autore anche di due lavori di memorie, Cenni autobiografici di un garibaldino e Da Venezia a Mentana, Tosi fu ritenuto un personaggio minore, ma come tale necessario ed indispensabile per il difficile processo unitario italiano.
Nello Iardino
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